L’Unione Europea assomiglia a un castello assediato: molti di coloro che sono dentro vorrebbero uscire e molti di quelli che sono fuori vorrebbero entrare. Fuor di metafora dobbiamo ammettere che questo mostro burocratico nei fatti non ha migliorato granché la vita dei cittadini, eppure costa moltissimo, complica la vita quotidiana di uomini e aziende con l’emanazione di norme che spesso non si armonizzano con le legislazioni originali dei singoli paesi e diventa efficiente solo quando deve perpetuare se stesso e garantire i funzionari che ne assicurano la sopravvivenza, una nuova casta di boiardi miope ed arrogante. La produzione normativa comunitaria, quello che in pratica incide sulla nostra vita quotidiana, è il risultato delle pressioni delle lobby che operano a Bruxelles e che sostanzialmente difendono gli interessi delle multinazionali e della grande finanza: si tratta di una stratificazione di norme ostili ed incomprensibili per la piccola industria, per gli artigiani e per l’agricoltura non latifondista. Se la analizziamo non possiamo negare che si tratta di una legislazione sviluppata su richiesta di grande industria, colossi bancari e finanza con il chiaro obiettivo di impedire la sopravvivenza delle piccole realtà economiche che tuttavia costituiscono l’elemento fondamentale delle economie di paesi come l’Italia o la Spagna. In questo progetto inquietante è previsto che sopravvivano pochissime aziende per ciascun settore, che suddivideranno tra loro un mercato di consumatori/schiavi, convinti che libertà sia acquistare qualcosa a 9,99 Euro e farselo spedire gratis da Amazon. Gli stati messi in difficoltà da questo processo vengono trasformati in vassalli dei paesi ricchi, come è accaduto alla Grecia che ha dovuto cedere alla Germania i suoi asset più importanti, da porti e aeroporti alle strutture turistiche, mentre nel frattempo (è un esempio tragico tra i tanti che si possono fare per la Grecia e che i media ignorano colpevolmente) l’aspettativa di vita dei cittadini decresce perché la maggior parte delle terapie mediche sono diventate inaccessibili.

Se restare nell’Unione costa sudore, lacrime e sangue, non è possibile nemmeno uscirne, questa facoltà è solo teorica: la Gran Bretagna non è un paese in condizioni critiche, eppure è stata messa all’angolo da condizioni di uscita usurarie mentre la stampa di regime presenta le difficoltà a concordare una Brexit dignitosa come se fossero dovute esclusivamente ai problemi politici interni della Gran Bretagna, quasi che la culla della democrazia moderna si fosse di colpo imbarbarita. Il coro variegato dei cantori dell’eden comunitario non cessa di tessere l’elogio di un’istituzione che nella realtà ha più ombre che luci: la stragrande maggioranza dei cittadini si è impoverita, mentre l’enorme ricchezza prodotta dalle economie dei paesi membri negli ultimi decenni è finita nelle tasche di una classe privilegiata che è largamente minoritaria. Assistiamo alla progressiva erosione dei diritti in tema di sanità e di stabilità del lavoro, con la scusa della competitività che sembra diventata il santo Graal, ma solo dopo che una folle deregulation ha aperto i mercati alle importazioni da paesi dove i lavoratori sono schiavi, l’energia costa pochissimo, chi produce beneficia di tassazioni irrisorie e può tranquillamente infischiarsene dei problemi ambientali.

Ma restiamo ai fatti, che sono testimoni scomodi, chi si è arricchito in questi anni grazie alla cornucopia comunitaria? Multinazionali, colossi finanziari, capitalisti e burocrati. Non ci sono più guerre… è il mantra ossessivo degli eurodipendenti: è vero, le guerre non servono più, si ottengono gli stessi risultati con la gestione cinica e dirigista della vita sociale ed economica dei cittadini.

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