Liana Isipato recensisce “Roulette russa, La vita e il tempo di Graham Greene” di Richard Greene, Sellerio Editore, pp. 871, 2021

L’editore Sellerio in questi ultimi anni ha iniziato la ristampa di alcune opere del grande scrittore inglese, riportandolo per fortuna alla ribalta e facendolo conoscere ai lettori più giovani o stimolandone la lettura anche a chi l’aveva ‘dimenticato’.
Nonostante le numerose opere biografiche e autobiografiche su G. Greene, Sellerio ha scelto di pubblicare l’ultima biografia, uscita nel 2021, scritta da un suo omonimo (ma non parente), Richard Green, che ci offre un gustoso panorama su questo prolifico ed eclettico scrittore, legando la sua professione alla vita personale, non meno avventurosa e densa di esperienze di quella dei suoi personaggi. Provo a offrirvene un assaggio.

Note sulla scrittura di G.G.

In realtà, per Greene niente funzionò mai meglio che mettere le cose nero su bianco, come affermò nel 1980: “Scrivere è una forma di terapia; a volte mi domando come riescano, tutti coloro che non scrivono, non compongono musica o non dipingono, a sottrarsi alla follia, alla malinconia, al timor panico che sono inerenti alla situazione umana”.
L’amico Michael Korda ha raccontato come lavorava Greene: seduto alla scrivania, scriveva cinquecento parole esatte e poi si fermava, a qualunque punto si trovasse, perfino nel bel mezzo di una frase, fino al giorno successivo. Korda immaginava che questa disciplina offrisse a Greene la possibilità di governare qualcosa in mezzo al caos della vita.

Di tanto in tanto scriveva poesie; nel novembre 1952, la più memorabile I Do Not Believe:

Credo solo nell’amore che colpisce all’improvviso,
caduto da un cielo limpido.
Non credo nell’amicizia che germina lenta
o a una che chiede perché.
Perché il tuo amore è arrivato selvaggio, improvviso,
come una dichiarazione di guerra,
io non posso concepire un amore che cresce dolcemente
o si attenua senza lasciare cicatrici.

In fin di vita, quando la figlia della sua ultima amata, Yvonne Cloetta, gli ricordò tutti i bei libri che aveva scritto, rispose: “Alcuni sì, buoni libri. Forse la gente di tanto in tanto penserà a me come pensa a Flaubert”.

L’alcol…

Graham Greene aveva una capacità omerica di reggere l’alcol. Poteva bere, e lo faceva regolarmente, ingenti quantità senza effetti evidenti.
Nell’estate del 1963, a due anni dalla crisi dei missili, tornò nell’amata Cuba. Come sempre gli piacque L’Avana, ma l’embargo rendeva difficile reperire i beni di consumo. Al Floridita non facevano più il daiquiri perché non c’erano lime: una situazione che Greene definisce nel suo diario come “La vera fine del mondo”.
“L’unica cosa positiva di quest’orribile ottantesimo compleanno è la quantità di superalcolici accatastati nelle mie cantine!”. Così scriveva Greene a Pierre Joannon, che il 2 ottobre 1984 gli aveva mandato una bottiglia di Jameson Irish Whiskey invecchiato 12 anni.

Incontri

Incontrare Jorge Luis Borges fu un vero piacere per Greene. Gli avevano spiegato che lo scrittore argentino correva dei pericoli da parte dei peronisti. Viveva con la madre, anziana e flemmatica, che un giorno rispondendo al telefono si era sentita dire che lei e suo figlio sarebbero stati uccisi. La sua risposta era stata: “Ho novant’anni, sarà meglio che veniate alla svelta. E quanto a mio figlio, sarà facile ucciderlo, visto che è cieco”.
Quando andò a prendere Borges alla biblioteca nazionale, Greene rimase abbagliato dalla sua capacità di citare poesie, perfino in inglese antico, che aveva imparato a memoria perché la sua vista era scarsa. Parlarono di Stevenson: Greene ricordava solo poche parole della poesia Non dire di me che ho rinunciato e, mentre erano sul punto di attraversare la strada, Borges si fermò e la recitò interamente alla perfezione.

Bambino delizioso

La zia Alice così descrive il piccolo Graham all’età di cinque anni: “E’ brillante, solare e allegro, chiacchiera tutto il giorno, ha maniere gentili e una sorta di grazia seria e gradevole, che risulta così affascinante. Una volta ha detto a sua madre “Io sono per il voto alle donne”. Un conoscente, il dottor Fry, passando per una visita gli ha chiesto: “Così, Graham, tu saresti per il voto alle donne?”. Graham ha riso, a disagio, si è agitato uh pochino quando ha capito che tutti lo stavano guardando e in uno scoppio di affascinante franchezza ha detto: “Io credo in loro!”.

Greene corteggiava il pericolo…Roulette russa.

A scuola Graham si sentiva scisso tra la lealtà al padre, che ne era il Direttore, e quella verso i ragazzi del dormitorio. Si sentiva pieno di sensi di colpa e alienato, così divenne un solitario. A tredici anni dovette affrontare un anno difficile, perse fiducia in sé stesso e cominciò a sperimentare la depressione. Iniziò a ideare metodi per suicidarsi; nella sua autobiografia scrive di aver bevuto dell’iposolfito e un flacone di gocce contro la febbre da fieno, di aver mangiato un mazzo di belladonna raccolta nel Common, e di aver ingollato un pugno di aspirine prima di andare a nuotare nelle piscine della scuola.
Molti anni più tardi lo psichiatra Eric Strauss gli diagnosticò una psicosi maniaco-depressiva (disturbo bipolare).
A 19 anni, nel 1923, cominciò a praticare un gioco temerario: trovò in una credenza una piccola rivoltella con sei alloggiamenti nel tamburo, e una scatoletta di cartone piena di cartucce. La caricò di un proiettile e fece ruotare il tamburo. Scrive lui stesso nell’autobiografia: “Appoggiai la canna della rivoltella al mio orecchio destro e premetti il grilletto. Udii un clic appena percettibile e, abbassando gli occhi sul tamburo, vidi che la cartuccia si era portata in posizione di sparo. Me l’ero cavata per un colpo”: essere sopravvissuto lo elettrizzò. Dopo le vacanze portò la rivoltella con sé a Oxford. Lì, per tre volte, scelse un viottolo di campagna per continuare il gioco. L’eccitazione gradualmente diminuì e a Natale del 1923, dopo aver giocato sei volte in totale, smise con la roulette russa. Nel corso della sua vita, Greene fece molte cose pericolose almeno quanto la roulette russa, nella guerra di un’intera vita contro la noia.
La sua partita alla roulette russa finì nel febbraio 1935, quando sopravvisse a un’altissima febbre che sembrava averlo portato alla morte. Il colpo in canna era andato a posto ma in qualche modo non era riuscito a fuoriuscire. Di sicuro, l’impulso di Greene verso l’autodistruzione non sarebbe più stato lo stesso. Greene scrive: “Avevo scoperto in me stesso un appassionato attaccamento alla vita. In precedenza avevo sempre ritenuto che la morte fosse, del tutto logicamente, desiderabile”.

Le donne, gli amori.

Nel biennio 1925-26 Greene entrò in corrispondenza con Vivien Dayrell Browning, una cattolica fervente e molto preparata, che gli aveva scritto per correggere un termine da lui usato in un articolo riguardante la venerazione della Vergine Maria. Sempre pronto a flirtare, la invitò a prendere un tè con lui per farsi perdonare. Greene si innamorò di lei. La sposerà un anno dopo. La madre di Vivien, cercando di dettare le condizioni della loro prima notte, inviò a Graham una lettera da leggere la notte delle nozze: lui la lesse e la strappò.
Per quel che ne sappiamo, negli anni trenta Greene ebbe solo delle relazioni passeggere finché non incontrò Dorothy Glover. Contrariamente a quanto hanno scritto di lei, Dorothy o “Doll” era piccola e magra e, quando la conobbe, Greene pensò che assomigliasse a Peter Pan. Nel 1939, Vivien si rese conto che il suo matrimonio era in pericolo. Capiva che Graham era coinvolto con un’altra donna. Anche se il matrimonio si trascinò ancora per un decennio e non fu mai ufficialmente dissolto, è ragionevole dire che dopo il 1939 non fu molto più che un involucro vuoto.
La vita di Greene si incrociò poi con quella di Catherine Walston. Lo aspettava un lungo viaggio, così lei, che aveva il brevetto, gli propose di accompagnarlo in volo. Erano solo 45 minuti, fino all’aeroporto di Kidlington, ma accadde qualcosa: “Una ciocca di capelli ti sfiora gli occhi su un aeroplano che sorvola l’Anglia orientale coperta di neve, e sei innamorato…”. Ora la vita di Greene era più ingarbugliata che mai. Era sposato con Vivien, viveva con Dorothy, era coinvolto in una relazione con una certa Claudette Monde, e innamorato di Catherine Walston.
La relazione con Catherine ispirerà Fine di una storia, romanzo che meritò questo giudizio scritto da Faulkner in una lettera al proprio editore britannico: “Ho letto tra l’altro Fine di una storia del signor Greene; non è uno dei vostri, ma secondo me è uno dei migliori, più veri e commoventi romanzi che siano stati scritti, in qualunque lingua, nella mia epoca”.
Negli ultimi anni della sua vita mantenne, fino alla morte, una relazione con Yvonne Cloetta, iniziata nel 1959, dopo un pranzo assieme in aeroporto. Quando arrivò il momento del check-in entrarono in ascensore. Lui l’abbracciò e le chiese: “Est-ce que tu m’aimes?”.

Non ho parlato dei suoi viaggi, del suo ruolo come agente segreto.
C’è proprio tanto da leggere, con piacere, in questo libro.

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