Il mondo è fatto di categorie, è la nostra mente che le crea, funziona così: è più facile decidere della propria vita, anche di cose banali, se si utilizzano criteri che ci aiutano a valutare, a giudicare, a prendere decisioni.
Alcuni di questi criteri sono utili: per esempio il sapore amaro è associato a molte sostanze tossiche e dividere i sapori in gradevoli e sgradevoli può salvare la vita. Anche le categorie “buoni e cattivi”, pur soggettive, aiutano a prendere decisioni che riducono i rischi.
Altri atteggiamenti derivano da una sorta di pigrizia, che ci rende comodo scegliere quasi senza pensare se preferiamo spaghetti o zuppa. Alcune abitudini, parlo di quelle più radicate, in realtà ostacolano la vita sociale, a volte addirittura ci impediscono di essere felici, anche se ci rassicurano: evitiamo di frequentare donne emancipate per paura del giudizio degli altri, alcuni le considererebbero “puttane”, oppure teniamo le distanze dai negri o dagli orientali, perché è meglio non fidarsi.
Non si si sa mai… si, è vero, non si sa mai cosa si perde a negarsi la libertà. Non si riesce a capire che il dolore che si prova per un diritto negato è lo stesso a Cinisello Balsamo, a Detroit o a Brazzaville. Purtroppo il razzismo è tanto radicato quanto stupido e ci impedisce di usare due categorie che invece sarebbero utili davvero e ci permetterebbero di capire una volta per tutte: chi la violenza la subisce e chi la pratica.

L’ESTUARIO DEL PO. Cronache non necessariamente conformiste. Mario Bellettato è nato ad Adria nel 1956. Dopo gli studi classici e la laurea in giurisprudenza ha intrapreso una carriera manageriale che lo ha portato a lunghe permanenze all’estero. Ha lavorato come copywriter per alcune agenzie di pubblicità e si è occupato di formazione per l’Unione Europea. Ha pubblicato il romanzo “Il sognatore”.
Vale sempre il commento che ho lasciato sull’articolo del 12 ottobre.