Per motivi di lavoro capito a Venezia piuttosto spesso. Delle mie più recenti passeggiate tra calli e campielli, i momenti più emozionanti rimasti impressi nella memoria sono legati da un filo conduttore.
Venezia, è risaputo, è una città sempre meno abitata dai veneziani. La popolazione del centro storico, che negli anni Cinquanta sfiorava i 175 mila abitanti, oggi supera di poco i 55 mila. In compenso, è invasa da turisti da tutto il mondo. Tanto che, in tempi recenti, un quotidiano straniero l’ha paragonata – con un’immagine tanto scandalosa, quanto azzeccata – ad un parco di divertimenti stile Disneyland.
Un annetto fa, mentre rientravo da una riunione finita in anticipo, divagando per strade secondarie al crepuscolo, ricordo di essere stato colto di sorpresa dalle grida di alcuni bambini. Stavo attraversando un vicolo deserto, costeggiando il muro di un patronato, oltre il quale evidentemente c’era un campetto di calcio. Di là dal muro c’erano bambini che giocavano a calcio. Quel banalissimo sprazzo di vita autentica mi aveva quasi commosso.
Una mattina, più di recente, ho avuto la fortuna di arrivare in città intorno alle otto. Ho così avuto il privilegio non solo di attraversare Venezia senza il viavai dei turisti, ma soprattutto di assistere a scene per me inedite, come l’ingresso a scuola degli adolescenti o il passaggio di mamme e papà, mentre accompagnavano a scuola i figli.
Per me, il fascino di una città è nella sua vitalità, più che nella maestosità dei suoi monumenti. In altre parole, sono i suoi abitanti veri a renderla viva. Lo stesso vale per la città in cui abito.
Anche Rovigo, sebbene in modo meno spettacolare di Venezia, sta perdendo abitanti. E ci mancherebbe: da qualche anno, infatti, mi pare che molti elementi collaborino assiduamente per favorire lo spopolamento del centro storico, allargando continuamente nuovi quartieri di villette a schiera e palazzine, che hanno ricoperto di cemento e asfalto una periferia fatta, un tempo, di terreni agricoli.
Mi chiedo: si tolgono gli abitanti per mettere cosa? Escludiamo pure i turisti. Improbabile che arrivino a frotte, stante l’offerta piuttosto misera del capoluogo e dei dintorni. Negozi? La crescita di centri commerciali e supermercati sembra indicare il contrario. Del resto, più gente abbandona il centro storico, meno gente farà acquisti in centro storico, se non durante saldi, notti bianche e altre iniziative analoghe.
Abitanti e attività commerciali, poi, non solo gli unici a lasciare il centro storico. Basta pensare allo spostamento della Questura, alle scuole superiori già trasferite o prossime a farlo, al progetto di uno studentato fuori città, alla sede del tal sindacato o della tal associazione di categoria che negli anni è uscita dal perimetro delle mura.
Da anni ho l’impressione che le istituzioni e gli stessi rodigini siano così preoccupati dalle buche per strada o dalle merde di cane sui marciapiedi, da non riuscire a guardare oltre. Poi, di recente, il Comune ha presentato la propria visione del futuro del centro storico: uffici. Rovigo sarà abitata da commercialisti, avvocati e altri professionisti. Rimarranno probabilmente anche le banche e le grandi catene di abbigliamento.
La sera, si chiude tutto. Rimarranno giusto gli aperitivi lunghi e la movida estiva. In pratica, forse toccherà anche a noi un destino da parco di divertimenti. Ma non di prim’ordine, come Venezia: alla meglio, una specie di Disneyland scrausa.
(Foto tratta da www.viaggiarenews.com)

Sweet Home Rovigo
Francesco Casoni, classe 1980, rodigino prima per accidente del destino e poi per ostinazione. Giornalista pubblicista, disegnatore, conduttore radiofonico, musicista (di scarso talento), scrittore, progettista, formatore, informatico autodidatta, cuoco, papà e dilettante in molti altri campi.
E’ autore dei romanzi “Le mille verità” (2017) e “I giorni delle cicale” (2021).