È cominciata ufficialmente il 29 agosto con la proiezione dell’atteso First Man di Damien Chazelle, ma in verità la pre-apertura è stata il 28 con la versione restaurata di Der Golem di Paul Wegener, anno 1920.

Poi il tuffo nelle sezioni competitive e non di Venezia 75. Ho iniziato dalla Francia con due film in concorso molto diversi, a partire dalle sezioni, nello stile ma a modo loro raffinati e sporchi allo stesso tempo.

Doubles vies di Olivier Assayas è in concorso per Venezia 75. Ci sono Juliette Binoche, Guillaume Canet e con loro un cast molto affiatato. Uno scenario corale, ritmato da dialoghi densi, veloci, sagaci e divertenti. Il tema è intrigante e attuale: la parola, la scrittura, l’arte ai tempi del digitale. L’argomento apparentemente scontato è affrontato dal punto di vista di un editore di libri, quelli veri fatti di carta che si maneggiano sfogliandoli e palpeggiandoli.

Attraverso le vite doppie dei personaggi – l’editore e la moglie che fa l’attrice di fiction ma che infine decide di recitare Fedra a teatro, lo scrittore romantico e puro che racconta sempre la stessa storia e la compagna che fa la portaborse per un politico, qualche amante, qualche amico – il regista snocciola una visione della vita per nulla banale. L’architrave del film è la parola, i dialoghi sono tutto e forse nella prima parte della storia c’è un po’ troppo autocompiacimento, un soffermaersi eccessivo su conversazioni che spingono e insistono sulla riflessione. Ne risulta un ragionamento un po’ forzato sul valore dei libri, sull’era digitale, sul destino delle bliblioteche, su quanto la scrittura veloce e breve dei dispositivi smart sia vera scrittura, abbia o no contenuto, spessore, senso.


C’è però una frase che Léonard, lo scrittore, dice e che sintetizza il girovagare di tutte quelle conversazioni tra amici, mangiando e bevendo fino a notte fonda. Suona più o meno così, oggi chi scrive è preda dell’isteria. Pare anche a me e forse è il nocciolo della questione. Tutti vogliamo dire tutto e la rete è uno scenario immenso sul quale stendere pensieri e parole e le idee prendono un movimento compulsivo. Sarà colpa della velocità, forse della brevità o, viceversa, della quantità enorme di flussi, però nello scrivere c’è qualcosa di isterico. Alla fine, sembra dire il film, le nostre vite prendono quel ritmo, pare che si ingorghino in quel flusso eccessivo, a tratti sincopato, e diano l’impressione di essere lì lì per esplodere. Ma dopotutto non lo fanno perché la parola è in qualche modo sempre salvifica. Lo è per l’editore Alain che, pur aprendosi ai testi elettronici per esigenze di mercato, crede profondamente nei libri, nella carta che accoglie e conserva le parole, nel profumo e nella consistenza.

Il film è colmo di citazioni letterarie, da Tomasi di Lampedusa a Peter Handke. Alla proiezione stampa diversi applausi a scena aperta.

In gara nella sezione Orizzonti è invece L’EnKas della giovane regista Sarah Marx. Questo film è la sua opera prima e nasce da una riflessione sulle diseguaglianze e dalla sua esperienza nel carcere di Nanterre, dove ha seguito per un anno otto detenuti.

Ne esce un’opera cruda e delicatissima che affronta il tema della riabilitazione, di come sia difficile stare nel mondo una volta fuori dal perimetro della reclusione. Voglio segnalare una straordinaria Sandrine Bonnaire che alla proiezione era in sala e ha raccolto l’ammirazione di tutti.

Segnalo anche l’attore protagonista, il giovane Sandor Funtek nei panni di Ulysse che esce dal carcere e si ritrova una madre seguita dai servizi sociali, sotto farmaci per una depressione cronica e il bisogno di inventarsi una vita e un lavoro per fare soldi e sostenere l’insostenibile. Esce in libertà vigilata per buona condotta e ha già pronto un contratto di lavoro fittizio da presentare al giudice. In realtà organizza un giro di vendita di ketamina ai rave party. Un po’ tutto gli scoppia tra le mani, ma la deflagrazione più grande ce l’ha quando il medico che segue Gabrielle, la madre, gli comunica di voler sperimentare su di lei una cura a base di ketamina. È come se il mondo gli implodesse dentro.

Tutto il percorso di Ulysse, dal carcere a casa, nelle sue peregrinazioni ai rave, per le strade a cercare soluzioni, le sue riflessioni, l’amicizia con David, il rapporto con l’ex ragazza che gli dà una mano con la madre, tutto è narrato, svolto sotto i nostri occhi con lucida, tenera, inequivocabile realtà. E riconosco alla regista grande misura e stile nel raccontare vite disperate, senza cadere in pietismi, retorica e una drammaticità stucchevole. La ruvidezza è vera, sporca come deve essere, e limpida.

Annotazioni: per Doubles vies Juliette Binoche è come sempre una presenza raffinata e di grande stile; Olivier Assayas tra le altre cose è il regista di Personal Shopper (2016). L’EnKas ha un sapore che solo rari film francesi hanno, qualcosa di stridente, brutale e poetico, in modo meraviglioso. Me ne viene in mente uno, Les amants du Pont-Neuf (1991) di Leos Carax.

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