L'appel du vide: il richiamo del vuoto
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Appel du vide: l'irresistibile richiamo del vuoto

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Appel du vide: l'irresistibile richiamo del vuoto

State camminando lungo un sentiero di montagna quando scorgete alla vostra destra, oltre una staccionata, un enorme precipizio. Vi fermate con la scusa di recuperare il fiato, ma in verità siete rimasti attratti dal paesaggio sottostante. Ben presto vi accorgete di non riuscire a distogliere gli occhi da quell’abisso, mentre attirati dal suo magnetismo vi rendete conto che sarebbe facilissimo scavalcare la barriera e lasciarvi cadere nel vuoto. Basterebbe un semplice gesto da parte vostra, la gamba oltre il bordo, e la gravità vi prenderà con sé. Che rumore faranno le mie ossa contro le rocce? Quando toccherò il suolo avrò gli occhi aperti o chiusi? Contemplate questa prospettiva per qualche istante, ma poi l’incantesimo si rompe e, stupiti dai vostri stessi pensieri, vi allontanate prontamente dal burrone per tornare sui vostri passi.

Quello che avete sperimentato è l’appel du vide, termine francese traducibile con “il richiamo del vuoto”. È un fenomeno ricorrente nell’esperienza umana, forse generato dalla nostra innata curiosità. Non si tratta di tendenze suicide, anzi, sembra che alla base ci sia un’esaltazione della vita che raggiunge il suo apice proprio dinanzi alla prospettiva dell’annientamento.

Ad attirarci verso il vuoto è l’eccitante e mostruosa libertà che sorge dinanzi al gesto estremo che potremmo fare; questa vertigine delle possibilità, come la definiva Sartre, rivela la forza debordante della libertà umana nei confronti dell’ego, il quale si affanna per mascherare alla coscienza il mare infinito di possibilità che essa racchiude. È la vertigine che risulta dall’angoscia non di cadere nel precipizio, ma di lanciarmici io stesso. È la presa di consapevolezza dell’estrema responsabilità nei confronti della nostra vita, che si esalta proprio dinanzi a questo possibile avvenire che porterebbe alla nostra fine.

È forse questo il senso dell’assurdo di cui parla Albert Camus quando nota “…con quale intensità la natura, un paesaggio possano sottrarsi a noi. Nel fondo della bellezza sta qualche cosa di inumano, ed ecco che le colline, la dolcezza del cielo, il profilo degli alberi perdono, nello stesso momento, il senso illusorio di cui noi li rivestivamo, più distanti ormai che un paradiso perduto.”

È forse un passaggio necessario, quello di perdersi per qualche istante nell’abisso, per riemergere con più consapevolezza e amore per la vita. In ogni caso non temete, siete completamente al sicuro, il vuoto non avrai mai il vostro corpo; per citare nuovamente Camus: “Il giudizio del corpo vale quanto quello dello spirito, e il corpo indietreggia davanti all’annientamento. Noi prendiamo l’abitudine di vivere prima di acquistare quella di pensare. Nella corsa che ci precipita ogni giorno un po’ più verso la morte, il corpo conserva questo irreparabile vantaggio.”

Letture consigliate:
La trascendenza dell’ego – Jean Paul Sartre

Il mito di Sisifo – Albert Camus

Da ascoltare:

Hyperballad – Bjork