Il misterioso caso estivo della Gatto Trasporti (parte 6)
Vai al contenuto della pagina

Il misterioso caso estivo della Gatto Trasporti (parte 6)

Sottotitolo non presente

Leggi l'articolo

Il misterioso caso estivo della Gatto Trasporti (parte 6)

Capitolo 6. Lo sai per chi lavoro io?

Riassunto delle precedenti puntate: mentre indaga sul misterioso caso della Gatto Trasporti, Giovanni al supermercato incrocia una vecchia che ostenta una borsa griffata Gatto Mode. Sarà un caso? Non resta che indagare.

Non ci fu verso di acciuffare la vecchia della cassa.

Giovanni avrebbe dovuto liberarsi dei tre clienti prima di lui, che avevano svuotato gli scaffali del supermercato come se fosse imminente un’epidemia, e una volta uscito svicolare dalla pezza del solito signore africano, che si offriva gentilmente di spingere il carrello in cambio della moneta. Risultato: l’anziana bradipa aveva avuto tutto il tempo di dileguarsi a passo lento, portando con il mistero della Gatto Mode stampata sulla sua borsa.

Giovanni risalì in macchina, trattenendo una bestemmia. Fece per girare la chiave, quando si rese conto di un dettaglio di un certo rilievo: non aveva comprato il sale grosso. Questa volta la saracca gli scappò, benché malamente biascicata per mascherarla. Osservò il formicaio umano all’ingresso del centro commerciale, con il suo andirivieni di bipedi appigliati a carrelli e sporte della spesa. Piuttosto che tornare dentro, avrebbe mangiato insipido per un mese.

Mentre usciva dal parcheggio, non riusciva a non pensare alla vecchia: era solo un'ignara cliente della fantomatica Gatto Mode o parte attiva di un disegno più vasto? Perché gli aveva sorriso? E perché mai qualcuno si divertiva a rallentare le code anche alle casse del supermercato?

Inchiodò di colpo, prima di inculare una Audi ferma in mezzo alla strada. Stava per strombazzare, quando si rese conto che davanti c’era una lunga fila di macchine da cui partiva uno strombazzare di clacson.

Non s’era mai visto nella storia dell’automobilismo che una suonata di clacson sciogliesse magicamente una coda e infatti tutto rimaneva fermo. Giovanni fece per ingranare la retro e cercare una strada alternativa, ma ormai aveva dietro altre cinquantotto vetture, di cui poteva apprezzare la varietà di trombe e trombette.

Tanto valeva scendere per vedere cosa stesse succedendo. Mollò la macchina e iniziò a superare a piedi la coda. Qualche decina di auto più avanti, scorse il tappo: un grosso Suv giapponese serenamente piazzato in mezzo alla strada, il padrone a bordo immerso in un’atmosfera di aria condizionata.

Giovanni gli bussò al finestrino. Fece cordialmente notare la situazione di estremo disagio che stava provocando, pur senza abusare dei termini “cazzo” e “coglioni”. Il troglodita a bordo, occhi celati, che quando parlava sembrava masticare una bistecca, rispose strafottente: “Aspetto che si liberi il parcheggio”. Indicò un punto in mezzo al caos di auto in sosta.

A Giovanni spuntarono punti interrogativi sulla testa.

“M’ha detto quello - disse il neandertaliano, sempre indicando da qualche parte - che fra un attimo va via”.

Giovanni tentò in tutti i modi di essere educato, ma non riuscì a trattenere un “testa di cazzo”, detto con il cuore. Fred Flinstone si incupì, abbassò gli occhiali da sole e gli ringhiò: “Ma tu lo sai per chi lavoro io?”

Ma Giovanni non lo volle sapere. Come minimo c’era la parola Gatto nel nome.

Continua…