Eugenio Tomiolo. Sta basso omo e cura el to savor
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- Notizia pubblicata il 7 maggio 2023
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- Scritto da Simone Martinello | Filò sull'aia della poesia. I poeti veneti
Il nostro Simone Martinello ci racconta la poesia e i poeti veneti; lo fa da grande esperto di poesia qual è, raccontandoci autori della nostra terra che spesso, purtroppo, sono poco conosciuti dal grande pubblico ma che hanno raggiunto grandi obiettivi artistici. Questa è una rubrica che era cominciata qualche mese fa e che ora, nella nuova versione del sito, riprendiamo e rilanciamo, riproponendo anche alcuni testi di Simone che erano già usciti. D'ora in poi questo diventerà un appuntamento fisso, che troverete puntualmente ogni domenica sulle nostre pagine.
L'osèo gemo passa sul balcon:
picco'lo da viçin, grando 'lontan.
(L'uccello gomitolo passa sul balcone:
piccolo da vicino, grande lontano.)
È d'uopo una premessa.
Credo sia capitato anche a voi di provare rimpianto per non aver conosciuto una persona. A me accadde con Eugenio Tomiolo. Nel tardo autunno del 2002 ero al telefono con Franco Loi - ci eravamo conosciuti alcuni anni prima, ero stato a casa sua a Milano, lui da me; aveva sempre parole buone per i miei genitori: lodava la semplicità di mia madre, scherzava con mio padre (una volta gli diede un salame di "campagna" e una bottiglia di un Barbera d'annata, frutto dei vitigni dei suoi cugini, sulle colline vicino a Castellania, all'inizio della salita che portava Fausto Coppi verso casa, e il poeta milanese se ne andò tutto contento) - quando ad un certo punto della nostra conversazione settimanale mi disse: "Sa come sta Ennio?". Mi colse di sorpresa. Evidentemente lo capì ed aggiunse: "Tomiolo, il pittore, sono alcuni anni che abita a Rovigo vicino ai nipoti. Mi hanno detto che non sta bene…". Allora ricordai che avevo letto di Ennio - così lo chiamavano amici e parenti - sui quotidiani nazionali a proposito delle sue mostre; e delle sua poesia negli articoli di Loi per Il Sole 24 Ore. Nello stesso tempo capii che stavo perdendo qualcosa di importante. Sentimento che crebbe quando seppi che Eugenio Tomiolo - pittore che ha alcune sue incisioni al Louvre, "famoso ma sconosciuto", come lui stesso amava definirsi - ci aveva lasciato nel gennaio del 2003. Il resto è un'altra storia, quando incontrai i nipoti, e che racconterò nel prossimo appuntamento della rubrica.
Eugenio Tomiolo (1911-2003) nella sua casa di Rovigo, alla fine degli anni '90
Eugenio Tomiolo iniziò a scrivere in poesia perché aveva bisogno di parlare d'amore ad una donna. Tra le sue cose i nipoti hanno recuperato uno scritto che, non appena lo lessi, mi fece sorridere e, nello stesso tempo, commuovere. Mi parve di vedere la scena. Sul finire degli anni '30 si trovava a Roma, alle prese con le esperienze artistiche dell'epoca, insieme a Scipione e Mafai. Esperienze che racconta per lettera ad Ida, la sua ragazza. Dopo qualche mese di corrispondenza, la invita a raggiungerlo nella capitale. Ha intenzione di sposarla. Le parole ritrovate di Ida:
«Contro il parere dei miei, lascio il paese e arrivo alla stazione di Roma. Lui è lì con una carrozza. Mi fa salire, mi porta in giro per Roma, mi fa scendere a Piazza di Spagna. Lui salta giù, va da un fioraio, uno dei tanti della scalinata di Trinità dei Monti, prende una rosa e me la offre, gridando: "Benvenuta a Roma!". Poi mi tira in disparte e mi sussurra che bisogna pagare la carrozza e il fiorista, ché lui non ha una lira. La sera mi porta al Pincio. Siamo seduti su una panchina, ormai fa buio e comincia a piovere. Allora gli chiedo di portarmi a casa; risponde tranquillo che non ha casa, che dorme sulle panchine del Pincio. Così comincia l'odissea per le strade piovose in cerca di un riparo a poco prezzo. Quello fu il giorno del mio fidanzamento.»
Come se pianze ben pusai a tì
sfogando queo che ne fa violenti.
Me supio el naso senza fazoeto,
spetando mì da tì 'e mé paroe,
e 'e giosse marzoine 'e gà la briva.¹
(Come si piange bene appoggiati a te / sfogando ciò che ci fa violenti. / Mi soffio il naso senza fazzoletto, / aspettando io da te le mie parole, / e le gocce marzoline hanno la brezza.)
E poi, poco più avanti, leggiamo questi splendidi versi, dove tutto ciò che "è" una donna - la sua donna - "apre" al poeta, rasserenandolo, un universo di profumi:
Al to parlar me se verze aromi,
dai loghi tinti da le tò careze
casca zo 'l manto fato de tristeze.²
(Al tuo parlare mi si aprono aromi, / dei luoghi colorati dalle tue carezze / cade giù il manto fatto di tristezze.)
Sono poesie in cui s'avverte la «ricerca di requie nell'abbandono dei sensi», dove «la donna è un simbolo abbastanza dichiarato di questo abbandono, di questo riposo alle stanchezze e alle tensioni dell'anima», come scrisse Franco Loi - che di Tomiolo fu grande amico - nell'intensa prefazione della raccolta Osèo gemo ("Uccello gomitolo", l'immagine che richiama le penne raggomitolate per difendersi dai rigori dell'inverno), uscita nel 1984 nella collana All'insegna del pesce d'oro di Vanni Scheiwiller. Franco Brevini la recensì su Panorama con un articolo che iniziava così:
«Non avviene tutti i giorni che un pittore si scopra poeta, ma ancora più inconsueto è che questa rivelazione giunga oltre i 70 anni. È accaduto a Eugenio Tomiolo, "maestro in ombra" della pittura novecentesca, che con una sorprendente raccolta di versi veneziani si è inaspettatamente imposto come il più autorevole successore di Giacomo Noventa. [...] La vita e la verità, il fuoco dei sensi e la leggerezza della conoscenza possono coesistere e addirittura coincidere grazie a questa disponibilità verso la materia.»
La leggerezza è proprio uno dei temi della poesia di Tomiolo. Osèo gemo si apre con questo distico:
Cossa me piasaria fare 'na poesia
liziera che restasse su par aria…³
È una "dichiarazione di poetica":
«Tomiolo aspira a qualcosa che abbia la levità dell'invisibile e quindi l'impalpabilità dell'aria, ma nello stesso tempo abbia la concretezza del reale, e l'aria è anche sostanza, pur impercettibile agli occhi [...] Il pensiero si fonde alla ispirazione poetica, e diventa ritmi e scansioni verso quella trasparenza cui tende: si avverte nei suoni quella leggerezza che viene invocata come speranza.»⁴
L'unico capital xe la Speranza
che deslenta la streta dei rimorsi.
Poesia la pol essere poca e dimessa,
questo ne resta come verità,
libera xe la cossa che xe vera.
El tuto del passà no se scancela,
el ne camina dentro de le vene.⁵
(L'unico capitale è la Speranza / che allenta la stretta dei rimorsi. / Poesia può essere poca o dimessa, / questo ci rimane come verità, / libera è la cosa che è vera. / Il tutto del passato non si cancella, / ci cammina dentro nelle vene.)
Per Franco Loi, «è un esempio di resistenza alle lusinghe intellettualistiche del Novecento e di lezione poetica nello stile e nella vita […]. Tomiolo è poeta vero, e alcune delle sue composizioni s’impongono per la forza dell’intuizione e per la profondità della meditazione.»⁶
Eugenio Tomiolo con il suo torchio a mano, ora conservato presso la Fondazione Fioroni di Legnago
Tomiolo, geniale artista del '900 - «Conosco pochi pittori dotati di una sensibilità così viva del colore e della forma e così capaci di dissolverla ogni volta, senza compiacimenti, in un immediato valore spirituale, in una energia che è luce interiore», scrisse Francesco Porzio su Il Giornale di Indro Montanelli nel 1984 - lontano dalle luci della ribalta e dai salotti, fu soprattutto un uomo a cui importava il fare e aveva in sé quel gusto del mestiere nel senso antico del termine. Un uomo di bottega, un artigiano messo al servizio dell'ispirazione, contro lo spirito dominante del possesso:
Mi no go gnente e so de pochi schei⁷
Essere "di pochi soldi", dunque.
I primi tempi, a Milano - mi raccontò Franco Loi - Eugenio, per poter dormire con la moglie, tirava giù con delle corde il letto appeso al soffitto di un piccolo locale che fungeva da abitazione.
Uomo di grande umiltà e verità, ha seguito sicuramente la lezione di Noventa, maestro di stile e non soltanto di morale, ma ha altresì costruito con i suoi versi un personale ed esclusivo dettato «teso a dar corpo al metafisico in un dimesso soliloquio quotidiano.»⁸
Un soliloquio però che non è mai vano e fine a se stesso perché, come ha ben colto Bruno Nacci, quella di Eugenio Tomiolo è una
«poesia domestica, d’amore e di rimpianto per la vita [...] ha il privilegio di fare del lettore, subito, il complice di una contagiosa innocenza. Forse per questo il suo veneziano (lingua di antichi fondachi, dolce, imperiale) conosce l’arte di accostare le cose, di trascenderle in un atto di trasparenza.»⁹
Una resistenza alle ideologie che si concretizza grazie anche all'uso del dialetto veneziano. Per dar voce a quel "sublime" reso, con leggerezza, nell'intreccio di un'umile lingua:
Sta basso omo e cura el to savor
state contento se la vien Poesia,
questo xe ’l segno che la te vol ben.
Sogna de ’ver el verso ne la man
ti no scavar, ti no ti ga la sapa
ti ga galezo, vate contentar.¹⁰
(Rimani modesto uomo e cura il tuo sapore / rallegrati se viene Poesia, / questo è il segno che ti vuole bene. ) Sogna di avere il verso nella mano / tu non scavare, tu non hai la zappa / tu puoi galleggiare, accontentati.
Ed è con questo "rimanere modesto" che Eugenio Tomiolo ci invita a riconsiderare, in un'epoca di potentati intellettuali ed economici, il valore delle cose ritenute basse - come spesso accade anche per il dialetto che le esprime - ci esorta ad riappropriarci del loro sapore, quel savor che può leggersi, perché no, anche come saver.
Quel "sapere" che troviamo dentro le umili cose, che ci richiama alla verità della vita, all'attenzione verso gli altri e la natura, che ci portano ad un recupero di coscienza del nostro vero essere ed esserci.
Forse mai come in questi tempi di massificazione, di falsificazione, di odio che dilaga perpetuando il male nelle sue molteplici forme, tutti noi, convenuti alla tavola del mondo -:sempre più povera di parole vere, di amore incondizionato - dovremmo ascoltare il verso nella mano di Eugenio Tomiolo:
Canta fìo canta, lassa che ì se tasa,
tì canta se te vien el fior al lavro.
A chi te porta amor, no negar Amor
a quelo che in lu xe tì e in tì lu, e el mondo
èl dar èl tor èl dir, col taser donar.
(Canta figlio canta, lascia che tacciano, / tu canta se ti viene il fiore al labbro. / A chi porta amore, non negare Amore / a quello che è in lui è te e tu lui, e il mondo / il dare il prendere il dire, donare col tacere.)
Continua nel prossimo appuntamento
Note
1, 2, 3 - Eugenio Tomiolo, da Osèo gemo.
4, 6 - Franco Loi, in Osèo gemo.
5 - Eugenio Tomiolo, da Aqua (Scheiwiller, 1991).
7 - Eugenio Tomiolo, da Farse la luna (Liboà ed., 1994).
8, 9 - Matteo Vercesi, La Bibbia riscritta e illustrata. L'opera di Eugenio Tomiolo (in Gli scrittori italiani e la Bibbia. Atti del convegno di Portogruaro 21-22 ottobre 2009, a cura di Tiziana Piras, Trieste, EUT, 2011).
10 - Eugenio Tomiolo, da El mondo xe pitura (Perosini ed., 1996)