Un nuovo racconto di Francesco Casoni (questa volta dalle venature thriller)
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Frittura mista con sorpresa

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Frittura mista con sorpresa

Martin Schäfer amava Rosolina. Nonostante sua moglie tentasse ogni anno di convincerlo a cambiare meta, lui si impuntava: perché rischiare di trovarsi male in un posto nuovo, quando lì stava benissimo?

Gli piaceva il mare, che ai locali consideravano poco più che una pozza di acqua sporca. Gli piaceva la cittadina, che per i locali era spenta e noiosa. Gli piacevano i dintorni, che per i locali erano lande desolate e squallide, sventrate dal traffico della Romea.

A lui, s’è capito, Rosolina Mare piaceva così tanto, che ci veniva in vacanza ormai da vent’anni. Gli italiani gli stavano simpatici. I gestori dell’hotel erano molto cortesi. Quando i figli erano ancora piccoli, li mollava in spiaggia con la madre per fuggire in bicicletta, concedendosi una pausa dalle chiacchiere sotto l’ombrellone. E ora che i figli erano grandi e le vacanze erano solo con la moglie, ci trovava comunque ciò di cui aveva bisogno. Innanzitutto la routine. E poi il fatto che, dopo tanti anni, in qualche modo gli portavano tutti rispetto.

Inutile dire che sua moglie Anne si rompeva moderatamente le palle, ma alla fine la routine aveva la meglio anche su di lei. All’incirca al tredicesimo anno di Rosolina Mare, aveva iniziato a farsene una ragione. O quanto meno a guardare il bicchiere mezzo pieno:  quelle due o tre persone fisse tutti gli anni, con cui ormai era nata un’amicizia e che rendevano meno tediose le lunghe ore sotto l’ombrellone.

Certo, una parte di lei si doleva di non aver potuto visitare la Toscana, il Salento o le cinque terre. E quella parte si vendicava, lamentandosi per qualsiasi cazzata nei primi giorni di vacanza. Della coda in macchina, della pizza che non era buona come l’anno prima, della camera d’albergo che non era stata pulita a modo e vai a dirglielo alla reception, per favore, con quello che abbiamo pagato.

Tuttavia, al terzo giorno, Martin lo sapeva bene, la lagna cessava. La moglie si adattava alla routine e la vacanza proseguiva più o meno d’amore e d’accordo. Lei si rilassava con le amiche in spiaggia, lui si sfiancava in qualche lunga pedalata sulla via delle Valli.

L’ultima sera, però, c’era un rito irrinunciabile: la cena nel solito posto vista spiaggia.

Anche se negli ultimi anni la signora Schäfer aveva iniziato a trovare spiacevole il sottofondo musicale monotematico - una sequenza di hit estive sempre più tamarre - e il chiasso di giovani ubriachi. Avrebbero dovuto cambiare posto, pensava. Ma come convincere quell’abitudinario di suo marito?

Era così presa da questi pensieri, che non prestò particolare attenzione, mentre raccoglieva dall’enorme piatto di frittura mista quello che credeva essere un gamberone. Fu solo quando fece per portarselo sotto i denti, che percepì qualcosa di insolito. La consistenza, innanzitutto. E qualcosa di olfattivo che non le tornava. Lo sguardo del marito le confermò il sospetto.

Gliela confermò anche il fatto che ci fosse un grosso anello d’oro, una fede nuziale, attorno a quello che credeva fosse un pezzo di frittura. Di certo non si trattava di un crostaceo che, per motivo insondabili, aveva deciso di abbellirsi con un gioiello. Quello che stringeva tra il pollice e l’indice era un dito. Un bel ditone paffuto, inscurito dal lavoro e parzialmente sbocconcellato dal becco di un gabbiano.

Anne emise un grido strozzato, lasciando cadere l’orrendo reperto anatomico. Nessuno intorno fece caso a loro. Balbettò cose in tedesco. Martin osservò il ditone cadere a terra, rotolare in mezzo ai tavoli, venire scalciato via dal passaggio di un cameriere, perdersi in mezzo ad una folla di giovani che si agitavano.

“Ora calmati”, disse lui. Lei stava per scoppiare a piangere. Le prese le mani. “Calma”.

“Ma…” piagnucolò Anne.

“Calma - ribadì Martin - Non ci agitiamo. Affrontiamo la cosa con razionalità”.

“Ma era…”

“Un dito - confermò lui - In ogni caso non abbandoniamoci ad atteggiamenti isterici”. Ci pensò su. “Può essere che qui costumi così”.

Alla moglie non parve l’apice del pensiero razionale, ma in quel momento non sapeva cosa ribattere. Aveva pur sempre trovato un dito mozzato nella loro frittura di pesce.

“Non rendiamoci ridicoli in pubblico. Finiamo di cenare. Paghiamo. Andiamo”, sentenziò il marito. Lei non si oppose. Finirono la frittura, più lui che lei. Lei, invece, finì il prosecco: era un vinaccio orrendo, ma ne aveva bisogno. Martin si alzò, pagò con la carta di credito, salutò.

Invece di tornare dritti all’albergo, passeggiarono lungo la spiaggia. Il sole stava tramontando e il cielo si era fatto cupo. Era l’ultima serata di vacanza.

“Facciamo finta che non sia successo nulla, ok?”, disse lui, che già pensava a quelle tre o quattro cose di lavoro che lo aspettavano il lunedì dopo. Lei annuì. Ripensò a quel dito mozzato e si chiese dove fosse andato a rotolare. E da dove fosse venuto. E come avesse fatto a finire lì. Troppe domande, che la sua mente spazzò via in fretta.

“Va bene, caro - disse, stringendosi a lui come quando erano fidanzati - Ma mi prometti che il prossimo anno ci informiamo per andare al mare da qualche altra parte?”