La grave crisi di Adria e del Delta e le proposte di Mario Bellettato
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Il futuro non è più quello di una volta

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Il futuro non è più quello di una volta

Il futuro non è più quello di una volta. Fino alla metà del secolo scorso, i cambiamenti epocali si verificavano con cadenze plurisecolari e la normalità del “futuro” produceva i suoi effetti quasi esclusivamente sul piano quantitativo e più raramente su quello qualitativo. In ogni caso le rivoluzioni tecnologiche e socioeconomiche avevano la buona abitudine di dare un congruo preavviso e “ci si poteva regolare”. Tra i messaggeri di Gengis Khan che riuscivano a percorrere 250 km al giorno e il servizio postale organizzato nella Gran Bretagna dell’800, non c’era praticamente differenza. Ma in poco più di un secolo abbiamo assistito alla diffusione del telegrafo, poi del fax, infine della connessione via web, delle trasmissioni satellitari e a breve l’intelligenza artificiale rivoluzionerà completamente e nuovamente il mondo della comunicazione. Il telefono-telefax, che solo pochi anni fa cinguettava il suo inconfondibile ritornello in ogni ufficio, è diventato una specie di reperto archeologico. Questo è solo un esempio, ma in qualche modo è la chiave per individuare le ragioni profonde di ciò che sta accadendo ad Adria. Invertire o almeno rallentare il progresso, questa sorta di megatrend che sta cambiando il mondo a grande velocità non è possibile, ma si può convivere con esso e sfruttarne alcuni aspetti, a patto che ci si renda conto di cosa accade e delle implicazioni del cambiamento. È questa la sfida cui sono chiamate le amministrazioni locali nelle cittadine come la nostra: è un compito difficile rispetto al quale tutte le giunte degli ultimi anni, ad Adria hanno clamorosamente fallito. Non possiamo dimenticare che, presentando la propria candidatura, le figure che si propongono come futuri amministratori, promettono, sottoscrivono un contratto con la cittadinanza, assumono poteri e intervengono pesantemente nella vita sociale della città: ad oggi questo processo è vero a metà, sono stati eletti sindaci e giunte, gli amministratori sono stati regolarmente retribuiti, hanno potuto attuare le loro politiche, ma sul piano dei risultati la città ha continuato a sprofondare, l’emigrazione ha recuperato i tassi del post-alluvione, l’economia langue, non si intravede una progettualità a medio termine che lasci qualche speranza. Adria affonda in un costante bradisismo, come se fosse continuata l’estrazione di gas naturale che l’attuale governo delle destre pensa improvvidamente di riesumare. La città sprofonda, lentamente ma inesorabilmente. Sono convinto che il Polesine soffra la sindrome da periferia dell’impero, la collocazione e le caratteristiche del territorio sono una realtà concreta, ma una volta che si sia preso atto di questo e che molto ragionevolmente si accetti l’idea che invertire una tendenza planetaria è impossibile, resta comunque il dovere di trovare soluzioni che migliorino la vita e le condizioni degli abitanti. Le ultime amministrazioni non possono esimersi da responsabilità enormi: la crescente disoccupazione giovanile, l’emigrazione delle risorse migliori, il drammatico calo del valore della proprietà immobiliare, la difficoltà per le imprese locali di sopravvivere, l’impossibilità di cedere a prezzi di mercato qualsiasi attività. Le serrande abbassate sono le pietre tombali che lastricano le principali arterie un tempo votate al commercio e all’artigianato, ma le azioni di chi ha amministrato la città negli ultimi decenni non vanno oltre la constatazione di una realtà tragica cui si pensa di rimediare con manifestazioni effimere e inconcludenti. Per risollevare il tessuto economico di un territorio non si può prescindere dall’analisi delle sue caratteristiche e soprattutto dall’individuazione dei suoi assets tipici, cioè delle risorse concrete che esso esprime. Pensare di migliorare l’economia locale con interventi dirigistici calati dall’alto non funziona: Adria e Loreo furono sede di due acciaierie che, conti alla mano, sono costate alla collettività più di quanto abbiano prodotto, due esperienze che sono state il risultato di una politica cialtrona che non sa e forse non vuole creare ricchezza e lavoro stabili. Serve ben altro: il Polesine avrebbe molto da offrire sotto il profilo dell’agroalimentare, del turismo e della cultura intesa soprattutto come leva moltiplicatrice per i due settori precedenti. Diciamocelo francamente: il delta del Po è affascinante, ma lo stato delle infrastrutture ne ostacola la fruizione. Un ipotetico turista olandese che volesse visitarlo in camper sperimenterebbe una carenza di servizi imbarazzante. La segnaletica stradale è grottesca, imprecisa e incompleta. Non esiste una guida che riporti le informazioni di base che permettano di sapere l’ubicazione e il recapito di farmacie, autofficine, ambulatori di pronto soccorso, distributori di carburante, autofficine e veterinari. Non c’è modo di conoscere la gastronomia tradizionale e sapere quali siano i locali che la propongono. Non ci sono piazzole attrezzate per camper e caravan, di certo non in quantità soddisfacente, e non ci sono nemmeno punti di riferimento per chi volesse organizzare escursioni in bici o a piedi: non si trova acqua potabile e nemmeno isole che indichino dove un povero turista si trova in quel momento: in caso di malore un malcapitato non ha idea di dove indirizzare i soccorsi. I prodotti agricoli, spesso di eccellente qualità, non sono valorizzati e vengono commercializzati attraverso i normali circuiti distributivi con il risultato che da un lato i prezzi alla fonte sono gestiti dai grossisti e dall’altro una preziosa tipicità si perde nella miscellanea della distribuzione organizzata che mescola la frutta di Mazzorno a quella di continenti lontani, senza altra regola se non quella del prezzo competitivo. Le eccellenze culturali ed educative, come il teatro del popolo, il museo archeologico nazionale, la scuola alberghiera o il conservatorio, che potrebbero fungere da supporto culturale e organizzativo alle attività strettamente economiche, non sono sfruttate e non sono messe in condizione di fare rete. Perché, ad esempio, non si sfrutta la straordinaria potenzialità del conservatorio per organizzare serate musicali al teatro, intese e organizzate come la desinenza di un week end che preveda la visita guidata del Delta? Perché non si utilizzano gli studenti della scuola alberghiera come steward e hostess mettendoli a ricevere i turisti negli accessi principali al parco del delta? Chi entra nel territorio del Delta non trova indicazioni, uffici turistici (nemmeno stagionali) e personale qualificato che dia loro qualche indicazione. Gli studenti dell’istituto alberghiero sono preparati, poliglotti e potrebbero vivere un’esperienza formativa di vera alternanza scuola-lavoro. Perché non si favorisce l’organizzazione di consorzi che raggruppino i produttori agricoli polesani, stimolandoli a qualificare le produzioni, affrontare la distribuzione da posizione vantaggiosa e trasformare parte dei prodotti in conserve? Lo sfruttamento del valore aggiunto dei prodotti alimentari trasformati porterebbe importantissime ricadute economiche al territorio. La scuola alberghiera potrebbe offrire un prezioso supporto didattico agli imprenditori agricoli formandoli sotto il profilo della produzione di conserve e semilavorati. Immaginate l’impatto economico e di riscatto sociale generato da un turismo colto, che visita il delta del Po grazie a infrastrutture e a guide turistiche complete ed efficienti, che approfitta del soggiorno per visitare il Museo, consumare qualche piatto tipico nei ristoranti che aderiscono a questa filosofia, assistere ad uno spettacolo musicale al teatro, acquistare conserve alimentari di prodotti tipici, promossi e ben reperibili. Se non c’è questa visione, che presuppone una buona cultura e una preparazione specifica nel marketing territoriale, Adria continuerà a sprofondare nonostante iniziative come le notti bianche o le nottate-shopping: azioni effimere che non affrontano i problemi alla base. In passato ho avuto modo di collaborare con alcune istituzioni locali, in particolare con la CCIAA di Udine e con Informest di Gorizia. Il grande successo delle iniziative cui ho contribuito poggiava su un concetto molto semplice: l’amministrazione avvicinava alcuni specialisti per redigere un programma di sviluppo che teneva conto in modo concreto e pragmatico della realtà locale e metteva a disposizione delle imprese e dei cittadini una serie di strumenti che stimolavano la crescita economico-culturale dei settori interessati. Manifestazioni fieristiche locali e partecipazione collettiva a fiere di settore, creazione di marchi di qualità, seminari di formazione imprenditoriale, visite a realtà territoriali analoghe alla propria per creare sinergie e apprendere strategie, stimolo alle forze politiche locali e nazionali sensibilizzate alle tematiche che riguardano il territorio. In altre parole, una buona amministrazione dovrebbe stimolare l’imprenditoria locale, favorire i rapporti tra le istituzioni e i privati, suggerire percorsi virtuosi per valorizzare le tipicità locali e farsi portavoce di tutte quelle istanze legittime e condivise che i singoli faticano a far giungere alle istituzioni. La funzione delle strutture pubbliche dovrebbe essere quella di offrire servizi ai cittadini, di favorire la collaborazione tra i diversi settori economicamente rilevanti del territorio e di rendersi garante che tutto questo avvenga nel rispetto delle norme e senza privilegi o favoritismi. Qualche volta, anche di recente, ho toccato questi argomenti con qualche amministratore, senza secondi fini, sinceramente perplesso per le condizioni in cui versa il territorio in cui sono nato. Mi è stato risposto, non senza un sorriso di sufficienza: “lo stiamo facendo già…”. Mi deve essere sfuggito qualcosa.