fbevnts Due protagonisti della scrittura a confronto: Cibotto e Scarpari
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Delta del Po, questo dimenticato

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Delta del Po, questo dimenticato

Intervista di G. A. Cibotto a Gianfranco Scarpari. Architetto, ingegnere, ma soprattutto uomo d’altri tempi legato alla salvaguardia del nostro patrimonio culturale. Gianfranco Scarpari sottolinea errori e carenze della classe dirigente.



Delta del Po, questo dimenticato

 

da “IL GAZZETTINO”, 14 Maggio 1997 - G. A. Cibotto

 

Sei stato uno degli studiosi più attendibili sul problema delle Ville Venete che hai descritto con molto scrupolo in un tuo libro.

Purtroppo, dopo un’improvvisa folata emotiva, dovuta a un gruppo d’intellettuali che hanno fatto approvare la famosa legge per il loro salvataggio, le Ville hanno conosciuto un progressivo disinteresse dei politici con particolare riguardo a quelli veneti. Il risultato è che si notano un po’ dovunque segni di generale abbandono. Che ne pensi?

 

L’idea di un’operazione di salvataggio delle Ville Venete è sorta per merito di un gruppo di uomini di cultura tra i quali c’eri anche tu. Nei primi anni tutto ha funzionato egregiamente, fino a quando sulla gestione non sono calate le mani dei politici. Da allora le cose sono cambiate e, a quanto sembra, non in meglio. Si tratta del solito vizio italiano. A ciò si aggiungano le regole e le facilitazioni insufficienti a stimolare gli interventi e le prescrizioni limitative a causa delle quali si preferisce subire il crollo di una villa piuttosto che accettare l’introduzione di quegli adattamenti che ne consentirebbero un diverso, sia pur dignitoso, utilizzo. Un amico svizzero una volta mi ha detto: “I veneziani ne hanno costruite troppe”, ma dopo una pausa ha aggiunto: “Ma se le avessimo noi”...

 

Già che abbiamo parlato di problemi riguardanti l’area veneta vorrei chiederti, dal momento che oltre a essere narratore e saggista, sei un esperto di architettura e ingegneria, un parere sull’inquietante proposta di pozzi per l’estrazione di idrocarburi al largo di Chioggia. Se non più tardi di qualche lustro addietro per questo motivo stava affondando il Polesine, non è che in seguito all’estrazione prevista rischi di sparir addirittura Venezia?

 

Non sono un esperto nel settore, ma prima di intraprendere iniziative in prossimità del litorale bisognerebbe avere la certezza che non influiranno sulla sicurezza delle terre che vi si affacciano. Ma poiché questa sicurezza, come credo, non si potrà mai raggiungere, meglio è lasciare le cose come stanno. Al tempo in cui il Polesine affondava per le estrazioni di metano, illustri studiosi, tra i quali Puppo e Boaga, sostennero con i loro scritti che i pozzi non costituivano la causa del dissesto contrariamente a quanto fu poi dimostrato. Penso che Venezia ben valga tutti i metri cubi di metano o i barili di petrolio che si possono estrarre dall’Adriatico.

 

Sempre in materia di cose della Padania, vorrei sapere il tuo parere sulla discussa nascita del Parco del Delta intorno alla quale la polemica non cessa di far udire quotidianamente la sua voce. E’ un evento da salutare con gioia, oppure è una

mezza calamità, come affermano le popolazioni della bassa?

 

Sono più di vent’anni che si disputa su questo argomento e si sono persi tutti i benefici che il Parco nel tempo avrebbe potuto dare. Siamo arrivati al punto che i ferraresi, che le foci del Po le hanno viste allontanarsi dal loro territorio nel lontano medioevo, vanno sfruttando la situazione a loro vantaggiosa e un loro delta se lo sono furbescamente inventato. In provincia di Rovigo esiste un clima di giustificabile preoccupazione di fronte alle limitazioni che la normativa del Parco potrebbe imporre ad iniziative di sviluppo, timore che risulta alimentato da coloro che temono di perdere i vantaggi connessi ad antiche e particolari forme di sfruttamento delle risorse. E’ comunque necessario che il Parco polesano risulti compatibile con le esigenze della gente che vive e opera nel territorio. Contemperare difesa della natura e sviluppo potrà costituire un nuovo interessante banco di prova per le capacità dei nostri pianificatori.

 

Anni fa hai scritto per la Marsilio un libro molto bello sulla casa rustica in Polesine che ha fatto ricordare a più di un recensore un volumetto dimenticato del tutto di Pintor. Ebbene, nei giorni passati mi sono preso la briga di rivisitare le zone in cui sorgevano le tue case rustiche. Non ne ho trovata più una. A cosa si deve questo? Indifferenza della classe dirigente, ignoranza del mondo contadino, frutto della speculazione? Mi sembra opportuno chiedertelo perché alcune di esse sono bellissime.

 

La sparizione delle case rustiche è per gran parte legata alla progressiva invasione edilizia delle nostre campagne. Se sorvoli in aereo la Valpadana noti un “tutto edificato” senza soluzione di continuità tra una città e l’altra, e un prolungarsi di ogni centro in appendici che nel loro insieme formano qualcosa di simile ad un’immensa ragnatela. Non appena varchi i confini e sorvoli Austria, Francia, Svizzera, ti accorgi che le città sono ancora città e la campagna è rimasta campagna sebbene nessuno di quei paesi sia secondo al nostro quanto a sviluppo economico. Penso che la legislazione urbanistica, rivolta a frenare la speculazione edilizia negli anni del “miracolo”, abbia suggerito gli espedienti per realizzare quel tipo di sviluppo anomalo che ha finito per devastare la campagna: v’è da aggiungere la progressiva disaffezione del mondo contadino verso le sue radici e tradizioni per spiegare la strage di quelle case e dei rustici che le affiancavano. Purtroppo, non ci resterà che rimpiangerle come simboli di un mondo del quale le nuove generazioni non troveranno più né memoria né testimonianze.