Il museo archeologico ha 25 anni (nel 1986)
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- CENTENARIO GIANFRANCO SCARPARI
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- Notizia pubblicata il 23 agosto 2024
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- Scritto da Gianfranco Scarpari
Il museo archeologico ha 25 anni (nel 1986)
Una miniera di storia da scoprire
da “IL GAZZETTINO ” 20 Dicembre 1986
L’evoluzione delle vicende storiche dell’Italia nordorientale è segnata, per almeno diciassette secoli, dalla presenza di Adria come vitale centro di scambi commerciali favorito dalla disponibilità di un porto protetto e sicuro e da una rete di canali navigabili che si estendeva nell’entroterra. Il materiale archeologico più antico (a parte modesti rinvenimenti attribuibili alla preistoria) risale a prima del VI secolo a.C. ed indica la presenza sul territorio di popolazioni venetoilliriche. Ma le prime notizie storiche ipotizzano una migrazione di focesi che, stabilendo ad Adria una loro colonia, allacciarono e mantennero rapporti commerciali con la Grecia a seguito dei quali vennero importati prodotti ceramici di altissima qualità artistica. Gli Etruschi, più tardi, scelsero come base Adria per esercitare anch’essi il commercio dei prodotti attici con le lucomonie dell’Italia centrale e con altri centri della bassa padana.
Più tardi, allorché i Greci, vennero sopraffatti dai Siracusani, Adria divenne colonia di questi ultimi che a loro volta favorirono la venuta e l’insediamento dei Galli, loro alleati, presenti nell’agro adriese fino al III secolo a.C., periodo di inizio del dominio romano e, con esso, del massimo splendore per la città.
Sede di municipio ebbe terme, teatro, templi e si narra che San Pietro, giungendo dall’oriente per avviarsi a Roma, sia approdato al porto di Adria. La caduta dell’Impero ed una serie di catastrofi fluviali, che sconvolsero la rete navigabile dell’agro adriese culminando nella rotta del Po del 1152, segnarono per la città un lungo periodo di decadenza e di abbandono concluso dalle grandi opere di bonifica effettuate dalla Repubblica Veneziana.
Le esplorazioni archeologiche che testimoniano la complessità degli eventi e gli incroci e sovrapposizioni di civiltà svoltisi nel territorio adriese, hanno avuto inizio nel sedicesimo secolo e le prime notizie in proposito provengono dal geografo veneziano Domenico M. Negri che accenna «come nella laguna circondante la città si trovassero resti di mura antiche e depositi di vasi di vetro e terracotta che venivano scavati da sterratori o sollevati dalle reti dei pescatori». Che questo materiale venisse asportato da Adria e successivamente disperso lo testimonia Luigi Groto, il cieco di Adria, che scrive di «marmi e colonne mandati ad ornare le più famose città d’Italia». Un’altra testimonianza accenna a «idoletti in bronzo, rinvenuti da tal Battista Sacchetto e dati al mercante veneziano Marco Pattera» e a quelli «ritrovati da Michel Zeno che ne donò un «sacco» al procuratore Antonio Priuli, divenuto doge nel 1618».
Ma il periodo di scoperte più cospicue fu il ‘700 epoca nella quale si formarono importanti raccolte private presso famiglie adriesi (Amati, Penolazzi, Grotto, Pegolini, Ronconi, Bocchi) in seguito anch’esse disperse, tranne quella dei Bocchi che, per donazione, andò a costituire nel 1904 il primo fondo dell’allora Museo Civico cittadino. I rinvenimenti negli anni ‘37 e ‘38, connessi allo scavo della nuova inalveazione del Canalbianco, accrebbero enormemente la dotazione del Museo nel frattempo trasferito da una sala dell’attuale Istituto Magistrale nel fabbricato donato al Comune dal dott. Giuseppe Cordella, in corso Vittorio Emanuele.
Si giunge così all’ultimo dopoguerra, alla realizzazione della nuova sede del Museo, all’adozione di moderni criteri per le recenti campagne di scavi condotte dalla Soprintendenza ad Adria ed in altre aree polesane. In esse, alla ricerca di materiale avente un valore intrinseco, si antepone la individuazione del contesto morfologico del territorio e delle sue connessioni con la storia, lavoro particolarmente arduo in una zona sconvolta per secoli da tante vicende idrauliche. Ed ogni anno di più il Museo adriese, recentemente riorganizzato ed arricchito con un laboratorio di restauro per merito di Bianca Maria Scarfì e Maurizia De Min, tende a dimostrare carenze di spazio al punto che qualche pensiero viene rivolto ormai ad un suo possibile ampliamento. Osservava molti anni fa Titta Brusin: «Il sottosuolo di Adria è una miniera di storia della quale ogni tanto affiora solo qualche brano isolato ». Agli studiosi di oggi e di domani spetta il compito di rivelarne i nuovi, ma soprattutto di scoprire il filo che li unisce.