Le campane del Gloria
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- CENTENARIO GIANFRANCO SCARPARI
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- Notizia pubblicata il 29 marzo 2024
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- Scritto da Redazione
da “IL GAZZETTINO ”, 9 Aprile 1985
Una vecchia cartolina di auguri pasquali, ritrovata nel fondo di un cassetto, mi ha fatto ricordare che, ai tempi della mia giovinezza, l’annuncio della Resurrezione veniva lanciato al mondo il mezzogiorno del sabato santo e non la mezzanotte successiva, come avviene oggi. L’immagine ingiallita riproduce infatti una campana che suona, sullo sfondo di un cielo azzurrissimo, inghirlandata da un volo di rondini. Ma i tempi nuovi hanno inesorabilmente cancellato tante altre consuetudini legate al periodo pasquale.
Qualcuno forse ricorda ancora le focacce di Pasqua, il dolce della ricorrenza che si preparava nelle case venete prima che Milano, pratica e industriale, imponesse al mondo le sue «colombe». L’allestimento delle focacce era lento e si svolgeva secondo un rituale che procedeva parallelo alle celebrazioni della settimana santa a partire dalla sera del giovedì. Si cominciava formando un impasto di acqua tiepida, rossi d’ uovo, farina e lievito di pane che si lasciava riposare la notte, riparato da un tovagliolo, per integrarlo la mattina del venerdì con sale, burro e ancora uova. Seguiva la sera dello stesso giorno un’altra manipolazione ed il sabato mattina, prima di procedere alla cottura, l’impasto veniva completato con zucchero, vaniglia, rosolio e buccia di limone grattugiata. Per formare quattro o cinque focacce, di quella che oggi viene chiamata la «cucina povera», occorreva la bellezza di sessanta uova. Nella tarda mattinata venivano estratte, dorate e fumanti dai forni a legna e il loro profumo si spandeva per le strade e nei cortili.
Era l’ora in cui si slegavano le campane silenziose dal giovedì. Quasi simultaneamente, suonando a distesa da tutti i campanili, trasmettevano all’esterno il messaggio del «Gloria» cantato in latino nelle chiese, tra nuvole d’incenso e luccichio di candele. Le donne e i bambini correvano verso il rubinetto della cucina e si bagnavano gli occhi. Si diceva che da ogni sorgente, in quei pochi minuti, sgorgasse acqua benedetta. Gli uomini invece uscivano dalle case e imbracciavano la doppietta per sparare in aria alcuni colpi in segno di festa tra una fuga di colombi e di passeri.
In quel mondo ancora impregnato di tradizioni patriarcali e contadine, i giorni di Pasqua segnavano il definitivo passaggio alla primavera. Le persone e le cose si scrollavano di dosso la pigrizia e la patina invernale. Si imbiancavano le pareti annerite dal fumo delle stufe e dei camini; le donne esponevano sui davanzali all’aria e al sole, coperte e materassi. Il giorno dopo, all’uscita dalla messa, gli uomini col vestito scuro della festa, avrebbero sostato sul sagrato per comprare uova sode tinte di rosso da vecchie contadine, che le estraevano con cura da grandi cesti di vimini. Se le giocavano, scocciandole l’una contro l’altra, tra le risate dei ragazzini.
In quest’Italia, in un Veneto dei quali, nel giro di pochi decenni si è dissolta l’antica identità, sembra quasi più giusto che le campane del Gloria suonino a mezzanotte. Che la gente, barricata nelle case ad ingerire la dose quotidiana di parole ed immagini che Mamma Tv somministra, le oda appena, come se il loro messaggio provenisse da un mondo lontano, da un altro tempo.