fbevnts Una lampada che accende la fantasia
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Una lampada accesa

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Una lampada accesa

La prima telefonata fu verso mezzanotte. Era di mio padre.

“Non trovo la scatola dei compassi. Dove l’hai messa?” mi chiese.

“Nel secondo cassetto della mia scrivania. Li adoperiamo molto poco ormai”, risposi.

Tacque qualche attimo. Poi:

“E le matite di legno dove sono?”

“Nell’altro cassetto più sotto: ce ne dovrebbe essere ancora qualcuna”.

Trovavo strano che fosse andato allo studio in piena notte perché non era sua abitudine lavorare dopo cena. Gli chiesi:

“Ma cosa devi fare di tanto urgente?”

“Voglio disegnare il confessionale per la chiesa dei Cappuccini. Ho promesso al superiore che gli avrei preparato un abbozzo per domani mattina. Buona notte”.

Avevo appena incominciato a leggere un libro piuttosto noioso, quando il telefono squillò di nuovo. Era ancora lui.

“Toglimi una curiosità. Cosa ne fate di tre televisori in studio e perché, i tavoli da disegno sono tutti ingombrati da cartelle e fascicoli?”

“Ma papà non si tratta di televisori, ma di computer. Si usano anche per disegnare. I tavoli servono molto poco, quasi soltanto per appoggiarvi le carte”.

Mi pareva strano che mi chiedesse quelle cose: da anni lo studio era organizzato in quel modo e più il tempo trascorreva e più dovevamo fare ricorso all’informatica. Certamente egli era rimasto legato sentimentalmente ai vecchi sistemi: usava il “regolo”, le stecche a “T”, le squadre e si serviva di una calcolatrice manuale “Monroe”.

Era passata un’ora e stavo per smettere la lettura quando chiamò ancora una volta.

“Ho scartabellato una pratica che ho trovato sulla tua scrivania e ho scoperto cose incomprensibili. Sembra non ci sia più libertà. Ti impongono la superficie che devono avere le finestre, la larghezza dei poggioli, la sporgenza delle cornici. Ti domandano la dimostrazione che una casa ad un piano non ha bisogno di parafulmini. C’è addirittura da ridere, non trovi?”

“Ci sarebbe da piangere, papà”.

“Ho il dubbio che se Palladio tornasse al mondo, troverebbe che quasi tutte le sue costruzioni sono fuori legge”.

“Non c’è bisogno di scomodare Palladio, anche molte delle tue”.

“Provo l’impressione che a Roma inventino delle leggi solo per far impazzire la gente”.

“Ma anche per trovare pretesti di lavoro e di guadagno per molti”.

“Se è per far diminuire la disoccupazione non potrebbero utilizzarli per scopi produttivi?”

Fece una lunga pausa.

“Guarda, guarda - riprese - ho scoperto che al termine dei lavori il direttore deve dichiarare, con giuramento in pretura, di aver rispettato le prescrizioni e il progetto approvato. Non sanno che il direttore è responsabile per legge?”

“Forse lo sanno, ma vogliono essere ancora più garantiti”.

“Pensi che il confessionale che sto disegnando debba essere approvato anche dall’USL?”

“Credo che i confessionali siano tra le poche cose sulle quali ancora non hanno imposto una normativa. Ma vedrai che col tempo ci penseranno”.

“Però tutte quelle imposizioni finiscono per avere un costo. La gente non protesta?”

“La gente è rassegnata e aspetta sempre il peggio”.

“Rassegnata anche se, invece di essere incoraggiato dalle autorità, chi si costruisce con i propri risparmi una casetta deve pagare delle somme pesanti? In anni lontani sono state fatte rivoluzioni contro la “tassa sul macinato”. Sembra che gli italiani siano diventati tutti più buoni...”

“Però - lo interruppi - sono state introdotte anche delle semplificazioni”.

“Per esempio?”

“Per esempio non devi più fornire un sacco di dati per essere identificato. Ora c’è il codice fiscale: una serie di lettere e di numeri combinati in modo diverso per ogni persona”.

“Targati come le automobili”.

“Ma fanno anche qualcosa di buono. Hanno abolito la tassa di successione”.

“E allora spariranno i notai...”

“No, papà, quelli non li farà sparire nessuno”. Avvertii che aveva appoggiato il ricevitore sul tavolo e udii i suoi passi allontanarsi. Dopo poco tornò e riprese a parlare:

“Ho trovato sul tuo tavolo una serie di istruzioni per mantenere il segreto sull’identità dei clienti. C’è una parola inglese in testa al fascicolo: “Privacy”. Non potevano trovarne una italiana?”

“Si tratta della riservatezza che dobbiamo mantenere sui nominativi delle persone che si rivolgono allo studio...”

“...Anche se poi i loro nomi e indirizzi vengono stampati sui pannelli che stanno appesi davanti ai cantieri?”

“C’è a Roma un signore che si occupa di queste cose chiamato “il garante”. Ogni tanto compare in televisione. Ha sempre l’aria molto seria e triste e ci mette in guardia da tutti i provvedimenti che minacciano la nostra vita privata. Ma non sembra che ottenga molto. Siamo tutti sempre più controllati”.

Fece un lungo sospiro e, quando riprese a parlare, il suo tono di voce pareva cambiato:

“Ho deciso. In queste condizioni non ce la faccio più a lavorare. Finirò il disegno per i frati e poi mi ritirerò dalla professione. Tu ormai puoi camminare con le tue gambe”.

Chiuse la comunicazione.

Mi svegliai. La luce filtrava attraverso le imposte. Era stato soltanto un lungo sogno. Mio padre era morto da quarant’anni.

Un’ora dopo mi recai allo studio. Tutto appariva in ordine, tranne una lampada sul tavolo da disegno che era rimasta accesa. Pensai a una mia dimenticanza della sera prima. Poi mi accorsi che illuminava un grande foglio sul quale era tracciato, a matita, il disegno di un confessionale. Riconobbi il tratto inconfondibile di mio padre, la grande disinvoltura con la quale sapeva esprimersi. Rispetto al passato notai soltanto qualche esitazione, come se la mano, in qualche momento, avesse tremato.

In margine al disegno una breve nota: “Da consegnare domattina al Superiore dei Cappuccini”.

da “Una corsa nel tempo” Perosini Editore, Zevio (VR), 2004







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