Alda Cortella … raccolgo il vento con le mani
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- Filò sull'aia della poesia. I poeti veneti
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- Notizia pubblicata domenica 19 maggio 2024
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- Scritto da Simone Martinello
… oggi è la nebbia
sola immutabile muta
a dirmi sul mio viso che sono viva
Cinquant'anni fa chiudeva prematuramente i suoi giorni, rubata alla vita e al mondo della poesia, Alda Cortella, senza avere la soddisfazione di veder pubblicato il suo tanto atteso volume Quarta vigilia.
In seguito, si è potuto leggere e commentare, ripubblicate con ampliamenti di inediti, le sue poesie edite e inedite, a cura di Bino Rebellato e della famiglia Cortella (1954) e provare un'intensa commozione per l'accorato messaggio di lirismo delicato che vive ancora oggi attualissimo dentro i suoi versi.
Crea emozione vedere - con gli occhi della memoria di Alda bambina - i "vicoli oscillanti nella sera", sottrarsi con lei alla carezza vegetale degli alberi.
La sua Badia diventa nostra, con connotati nuovi. Anche noi sentiamo con lei, adulta, il profumo illanguidente dei tigli, lungo l'Adigetto e siamo avvolti dal felpato velario delle prime nebbie di settembre - mese in cui la poetessa è nata - "all'epoca delle uve mature"; vediamo le sue dita sensibili spremere i grappoli sull'erba calpestata. Leggiamo in queste righe poetiche la struggente metafora del suo cuore dolente: un'immagine di sensualità appena abbozzata, racchiusa nella nicchia del pudore. L'Amore per Alda non è mai un sentimento trionfante, compiuto, ma è una realtà sospesa, quasi un leopardiano sabato che non vedrà mai la domenica, un'eterna vigilia come quella dei suoi versi che andarono postumi alle stampe. L'animo della giovane sente il fascino delle vie d'acqua, la malia del liquido elemento che, quasi in una ricerca di catarsi, di inconsapevole bagno purificatore, ritroviamo in molte sue poesie. Ora è acqua di fiume, cosparsa di pietre, ora marosi che tormentano le scogliere, ora l'immagine locale del fluire dell' "acqua di madreperla" dell'Adige, ora un fiume della fantasia, tutto suo, sulle cui rive potrà sognare un mare ignoto. La sua poesia assume toni inquietanti, che quasi fanno meraviglia, quando è percorsa da immagini cruente: "sogno un cielo di sangue"; "è la voce del tuo sangue che mi chiama oggi sul palmo rosso delle mani"; "il mio sangue nutre in silenzio le sue creature". Alda spesso sente accanto a sè il cupo fremito della morte. È quasi morte cosmica. Persino le stelle"tornano a morire colme di desideri", anche i suoi sogni sono popolati da alberi che"senza voce chiamano i morti". Anche la luna parla di morte poiché è "un fiore dai petali spezzati". Al di là di queste tetre immagini premonitrici, in lei c'è un desiderio appassionato d'amore, un bisogno commovente di baci veri, di addormentarsi confortata dalla tenerezza. In lei c'è un misticismo delizioso che non conosce tortuosità teologiche, quasi un bisogno di farsi coccolare da Dio. La sua poesia - ricca di metafore lievi - ora si fa canto ritmato, sull'orma dei suoi lirici greci, ora prende l'aspra secchezza di un singhiozzo o la velatura di una voce sussurrata, restando sempre un diafano fiore, eterna vigilia di un frutto.
Vediamo allora alcune poesie di Alda:
TENEBRA
Sono una bimba spaurita
nel limbo di vicoli oscillanti.
Mi scopre un lume
Non voglio le carezze degli alberi
ma scendo e dormo
nelle acque nere.
TEMPO
Respiro di pietre
addormentate tra la sabbia dei fiumi
e oblio di stelle
la terra cede
sotto nude radici
ed io raccolgo il vento con le mani.
GRIGIO AMORE
Era in mia madre la vita
prima che questi occhi vedessero
cadere
lente le foglie morte.
Sono nata nel caldo settembre
alla vita delle uve mature
ed aspettando nel calmo torpore
delle vigne spoglie le prime
nebbie. E oggi è la nebbia
sola immobile muta
a dirmi sul mio viso
che sono viva.
LA MIA SERA
Anche oggi
s'è fatto tardi
e il mio giorno
si è chiuso nel silenzio.
Il cielo è basso,
la luna è un fiore
dai petali spezzati.
Le donne hanno sciolto sui letti i capelli,
io sola sulla strada
perchè ho paura
che il tuo sorriso mi trapassi
senza fermarsi.
QUARTA VIGILIA
Il turbine alla notte si fa denso
sulle mie vesti nere:
le pietre ai ceppi sono nude.
La voce dei sassi mi raccoglie
un battere di zoccoli:
due bianche mani si stringono
all'inutile tempo.
ORA NONA
Giorno che brucia
le pietre sui sensi stravolti
nell'afa. E' sabbia
la mia bocca e le mie radici
affondano lente
ed io mi perdo in te.
SETTEMBRE
Settembre: per te c'è
un posto riparato
dal vento della scogliera.
È prigioniero là dentro
il mare e la sua voce
è quella di un lungo
sogno nato
nel mio fresco mattino.
Molto bella questa poesia:
ADIGE
I
Sono passate le ultime pecore
e i pastori sono stanchi:
è fredda la terra dei tuoi mattini.
Tu vivi nel silenzio delle nebbie
e le tue erbe vestite di brina
hanno il colore del cielo.
Anche le tue acque sono dure
e nel curvo cristallo si fermano
le ruote dei mulini.
II
Sono poche le case sull’argine
e tu non le vedi:
non vedi il pescatore
che tende le reti dalla barca nera.
Io cerco tra l’erba
i segni della mia giovinezza
quando rami viola
si tendevano sull’acqua di madreperla
ed era rosso il canto dei mulini
e di velluto il torpore della sera.
Poi affondo i miei piedi
nell’onda di vetro
e tu non vuoi chiamare il tempo
perché ridoni i colori
alle tue acque.
III
Non ti ho lasciato
perché è la mia sera.
La morte delle rive
è lunga, come la via
lattea nel cielo:
io serbo il canto
del passero nel fragile canneto.
Non importa se a me vicino
non dormono le barche:
sono le mie le tue onde e dormo
nella tua terra.
Se ne era occupato, negli anni ‘60, Antonio Romagnolo, quando frequentava il compianto Carlo Lezziero, anch'egli fine poeta. Gli rimase, allora, l'impressione di una poesia giovanile così pura e, nello stesso tempo, così triste. Della poetessa di Badia aveva solo poche notizie. Si sapeva che si era laureata in lettere, che faceva l'insegnante e si conosceva la grande angoscia del suo cuore attraverso la raccolta Quarta vigilia, uscita qualche giorno prima della prematura morte.
Studiando, all'epoca, la pittura di Giuseppe Goltara - “pittore colto” e appassionato di lettere, quasi un nuovo Van Gogh, con tutte le misure del caso, lontano dagli stereotipi e dai falsi miti - venne spontaneo a Romagnolo accostarlo alla Cortella.
Entrambi avevano partecipato brevemente dell'avventura umana: Giuseppe per 44 anni; Alda, meno ancora, 30 soltanto.
Goltara, autodidatta, obbedendo a moti interiori, cercava di assecondare un animo incline all'elegia. Dotato di un forte istinto pittorico, sollecitato da una acuta malinconia, dal peso quotidiano dell'esistenza, dell'attesa sempre di qualcosa che potesse migliorare la sua triste condizione umana, in lui emergeva una vigilia lunga che non lascia arrivare la festa della vita.
E qui avviene l'aggancio con la poesia della Cortella, perché della stessa vigilia, della stessa angoscia si tratta, come abbiamo letto appena sopra in Quarta vigilia.
Già, l'inutile tempo, che “è tempo di morire”.
E in un'altra poesia dirà:
… perché è muto il mondo
senza il tuo respiro vicino
e la tua voce
che fa verde i viali…
Perché
… oggi è notte.
Lento è il mio passo e stanco;
Perché
… non voglio le carezze degli alberi
ma scendo e dormo
nelle acque nere
Perchè
… raccolgo il vento con le mani
Perchè
… oggi è ieri e domani.
Sterili giorni cui soltanto
le nebbie donano senso,
pena sconosciuta che il cuore nutre
per non morire
Perché
… la mia strada non ha nome,
è mare di nebbia
ch'io percorro infinito
e al di là è tramontata la luna
Perché
… oggi è la nebbia
sola immutabile muta
a dirmi sul mio viso che sono
Camus diceva che la situazione dell’uomo nel mondo è assurda non perché è assurdo l’uomo o il mondo, ma perché è assurdo il rapporto dell’uomo con il mondo.
D’altronde ne abbiamo dimostrazione ogni giorno.
E così l'uomo prova l'angoscia dell'esistenza, non ha punti di riferimento, è allo scoperto.
L'esistenza, insomma, precede l'essenza.
Anche se ha l’amore e la solidarietà dei familiari e degli amici, egli è irrimediabilmente solo, nessun altro lo può sostituire nei suoi momenti di vita. È come se fosse uno straniero nel mondo, anzi pienamente immerso nella peste di questo mondo. Con la sensazione - netta - che qualcosa si sia definitivamente spezzato all’origine della vita. Costretto a vivere, alla fine, una condizione ingiustizia. E, soprattutto, senza salvezza
Lo aveva capito benissimo Dino Buzzati quando ne Il deserto dei Tartari scrive:
… che se uno soffre il dolore è completamente suo, nessun altro può prenderne su di sé una minima parte;
che se uno soffre, gli altri per questo non sentono male, anche se l'amore è grande, e questo provoca la solitudine della vita.
Seguendo sempre il pensiero di Camus, all’uomo non rimane che un solo modo per reagire a questa situazione di ingiustizia: quello di essere più giusto della condizione di ingiustizia in cui si trova, di tentare cioè la strada dello stoicismo, di acquisire una grande forza, una grande dignità umana.
Per Alda è:
Mistero
mi sei
come la mia vita
mistero d'un Dio di pietra
sofferto
e sconosciuto
Perché
Per me non è tempo
di cog.cogliere l'oro
al tramonto
indugiare sulle rive
del fiume
aspettare nella tarda luna
i fantasmi:
oggi è notte
e i lumi sono spenti
il mio passo
è duro
oltre l’angolo è l’abisso.
Io un punto
di quell’infinito.
Interessanti alcune recensioni uscite sulla sua poesia. Vi propongo, cari Amici Lettori, alcuni brani:
“... In questa raccolta di lirici echi la Cortella rivela soprattutto una forza nuova qua e là solcata da “momenti” di originalità creativa. Perfetta è la forma, perfetto il ritmo, perfetto il dono di delicata poesia: poesia ch’é destino compiuto. Giovanissima ha chiuso gli occhi per sempre, giovanissima è andata a cercare la vita e l'amore in un regno lontano, in una pianura sconfinata, in un cielo che ha soltanto sole e sorriso. A noi ha lasciato la rivelazione della sua fresca vena, della sua arte nobile e pura, ed il suo nome da collocare fra quello delle migliori poetesse italiane.”
Carlo Lezziero, “Il Gazzettino”, 11-07-1954
“Il mondo di Quarta vigilia è quello della pianura veneta: viali deserti, sere colme di nebbia e di campane, gli autunni velati, gli alberi, i fiumi, le case addormentate, la gente che passa col peso delle sue pene sconosciute. In questo mondo la poesia non può gridare, né essere intrisa d'altro sole che non sia quello che rischiara l'anima come una finestra fiorita: la Cortella possedeva, appunto, una nativa misura d'adesione lirica al paesaggio che le era consanguineo e di cui seppe far sentire le stanchezze, gli ardori, le colorate metamorfosi, in un fantasticare interiore, in un crescendo spirituale delle cose, che diventavano sue, per sofferenza o per abbandono.
La poesia di Alda Cortella è soprattutto poesia d'amore: amore di cose e di creature, amore di paesaggi e di stanze, di volti e di voci, di stagioni e di pensieri. Quarta vigilia è qualcosa di più di un libro di versi: è un poetico diario d’amore scritto all’ombra dell’anima, una confessione che trasforma i giorni d’una vita breve e intensi in frammenti di elegia, in chiare note di canto, in dolce dialogo. Ci si stacca dalle pagine con la meravigliata gioia che dà ogni scoperta.”
Giulio Nascimbeni, “L’Arena”, 18-11-1954
Notizia
Alda Cortella nasce a Badia Polesine il 6 settembre 1924. Si laurea a Padova in Lettere e poi insegnerà nell'Istituto Magistrale della sua città. Inizia a scrivere poesie nel 1951 dopo aver attraversato un delicato momento esistenziale. Nel 1954 l'editore Bino Rebellato pubblica la sua prima raccolta intitolata, come abbiamo letto, Quarta vigilia, che la poetessa non riesce a vedere perché muore il 22 maggio di quell'anno.
Nel 1983 il cugino Guido Cortella lo fa ristampare dallo stesso editore, con l'aggiunta di poesie inedite, traduzioni di poeti greci e alcune prose. Si costituisce allora un Comitato per promuovere attività culturali in onore e in memoria di Alda, che culmina con la realizzazione di un Premio, chiamato per l'appunto “Alda Cortella”, rivolto agli studenti delle medie superiori, con periodicità biennale, che riscuote un buon successo.
Verrà riproposto nel 1986 e nel 1990, con il titolo: “Il fascino particolare della terra polesana nella poesia di Alda Cortella”.