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Serena Dal Borgo. E sia il vento, e sia il mare

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Serena Dal Borgo. E sia il vento, e sia il mare

Simone caro,


come posso aprire se anche tu non apri?

Se il sabato a venire è il mio sabato di pacchi e pacchettini dovrà essere anche il tuo sabato di libri e librini.

È stato bello oggi ritornare da scuola. C'eri tu ad aspettarmi. Segreto. E il gioco  della carta  nella carta. Da aprire sabato, ciao. 

Ed io non apro. Ma cucio carte e parole. Per te. Nella notte. Così mi sembrerà di essere lì. Vicina. Tra Adria e Rosolina. Tra il mare e la linea del verde. Mi sembrerà che le tue mani ritornino. E che tutto ritorni con lo stesso incanto degli aironi sfioranti l'acqua nella sera della domenica di settembre. Nella sera del tramonto a pioggia d'incanto. Nella sera.

Sono tre libretti d'artista. Che ho realizzato per te. A mano. Con il cuore.


Mi fa piacere avere un pacco segreto. 

Un pacco tutto da indovinare. 


moi por toi

Serena


Farra, ottoottobreduemilaquattro 


Amici, questa è Serena Dal Borgo. 

E non ci sarebbe da dire altro sopra questa tessitrice di carte, come lei ama definirsi. Cosa che le si appropria "d'incanto".

Poche righe, dove scorre la poesia perché sì, nelle vene di questa poetessa scorrono versi. Belli, linfa tutta da leggere.


Scrive Paolo Ruffilli nella nota al suo libro d'esordio In piume (Book Editore, 2004):


«… rispecchiamenti innescati a proliferazione dalla parola sulla parola, in salti che sono volteggi… In un gioco di estrema intelligenza, di ironia, di grazia, di guida ragionata e vigile, eppure non per questo meno partecipativo e meno debitore a quell'intrico di sentimenti che trama sul limitare del logos. Sentimenti, si intende, delle cose e del mondo, della vita, delle creature animate anche quando apparentemente inanimate (le conchiglie, la luna, le nuvole, il vento, la pioggia, il sole, le stelle…)»


Si è parlato in questa rubrica tempo fa di dialogo tra "umano" e "non umano ". Nelle poesie della Dal Borgo questo dialogo affiora, per scuotere l'anima e il cuore, sempre, nel fluire dei versi. 

Leggiamo allora alcuni di questi volteggi da In piume:


mare e scintille 

oggi, e la mia pelle

bagnata si dilata 

conchiglia morbida 

onda.


***


tra voli e ali,

mezza nuda

col sole alabastro 

posato. E tu.


***


da giorni

Per il sole. Per le reti.

Dispersi oltre 

il vetro. Il fiume.

                 Oltre. 

Gli occhi. Il nero.

            Oltre. 

         Soli.


***


e sia il vento

e sia il mare.

e sia la linea 

madreperla 

della coscia.

(gambe lunghe, 

             tacchi)


***


luce riflessa

sul masso montano

dove sosta Caproni 

(l'amico di sempre)

campane d'acqua, 

di nebbia, d'amore.


Ecco allora che ci vengono in soccorso, preziose, ancora le parole di Ruffilli:


«In un filare scintillante, a metà tra palazzeschiano e caproniano, che ha piglio tutto proprio e fa arabesco intrecciando gli aloni delle luci e gli echi delle note ritmate. 

Così Serena, rotolando su un / dove di ali, affida alla partitura e alla tela delle pagine il suo perfetto obliquo modo di poetare, quasi in absentia del se, consegnato alle finissime geometrie del linguaggio. E tutto scivola in un soffio / tracce pieghe e di nuovo e come onda / di mare / trascorre / nel delfino / passare. 

Qui, ancora è sempre, desiderio e sogno, presenza e mistero, tornano in scena dietro al flusso e all'energia dell'amore. Un amore sceneggiato in un ciclo di piccole pitture zen, ciascuna ben serrata dentro la sua nobile cornice, eppure insieme mescolandosi nel più ampio quadro d'insieme.»


Serena Dal Borgo, poi, si supera nel secondo libro del 2005, con pelle d’ardesia, sempre pubblicato da Book. Un poemetto dove appaiono Marzia e Daniele, giovani, e la loro improvvisa scomparsa. 


Un evento tragico ma rimodellato dalla poesia  nei suoi aspetti più immateriali… personaggi di un dialogo universale, dove sono coinvolte le forze serene della natura, con cui confrontarsi nel rispetto reciproco, con cui i due ragazzi probabilmente avevano un rapporto facile e spontaneo.


Mi bagno la pelle, ardesia 

di seta, mi bagno i capelli, 

mi bagno la vita.


Scrive Marzia, continuando:


mi vesto di piume. 

leggere. leggera.

mi vesto di sole.

mi vesto di luna.

scompaio. riappaio.

mi lascio cullare

leggera di vento.

Farfalla di ali

con piume brumate.

Su mano le labbra

di un'eco lontana.

bacio le foglie 

accartocciate tra voglie.

bacio la fronte

chissà quante volte. 

bacio le lacrime 

fatte di sale.

bacio le piume 

lucenti di luna.


Nella seconda parte del poemetto è Daniele a parlare:


lascio ogni cosa tra le fronde

del vento. lascio Daniela.

lascio il mio legno.

mi guardo dormire mi guardo morire. 

tra fili tra fossi.

dove morire 

dove lasciare 

dove settembre.

fili taglienti dove non io.

dove l'oblio mi nega la mente.

tra fiori mancati. 

mi vedo. Spezzato. 


***


Per sempre nel cielo 

l'urlo cattivo. Tutto ho lasciato, 

tutto ho trovato. Ho lasciato 

il sorriso. Ho lasciato 

il tuo viso. Il sole

riscalda la terra di vetro.

Ardesia leggera

per me ogni dire. 

Di vetro le labbra. 

Di piuma le mani. Ardesia leggera

ogni lacrima nera.


La terza parte del Poemetto - Decalogo del Prima, il titolo - è straordinaria. Si alternano le voci di Marzia e Daniele in Inni.


Ecco allora Marzia cantare un Inno alle libellule:


le libellule si librano

con quelle ali, più ali, più ali.

arcobalenate. 

al sole al prato all'erba.

e gli occhi, grandi 

enormi, verdi. 

le libellule - mie sorelle 


E l'Inno alla pelle:


mani, pelle.

ho accarezzato quel mare

disteso di onde

e fili di prato. 

Ho vagato in cieli lontani,

asteroidi su stelle

su violini ventati. 

ho ascoltato il dolore

e la gioia e il dolore 

di quegli occhi lontani. 

occhi che scrutano 

e cercano e indagano. E

mani. e pelle. e occhi. 

e labbra. In labbra.

E musica. 


pianoforte la pelle

sistri d'argento 

le dita.

concerto sul prato. 

concerto per vetri 

velati - racconta di me

di te di grilli di locuste

do te di me - di noi

nel blu distesi. 


Ed è Daniele a concludere con un Inno al noi lontano:


ora tu - lì -

su quel terrazzo 

io sul divano. dimmi.

ma io, ma tu.

dimmi. penso a te. 

penso all'a-temporalità.

e la casa ti soffoca

per quel noi lontano. 

andato. passato. 

abbiamo pensato

abbiamo messo

abbiamo costruito. 

e la casa ti ama. 

la casa ti chiama.

ti tiene, ti ascolta.

la casa.

e io arrivo da te da me.

tu casa, tu poeta, tu.

ciao da questa mano.

tu sole tu autunno. 

a presto.

a ieri. a oggi.

il tempo è lontano. 

le castagne rimangono 

nel cesto rosso-ricordo.

ballano le mele. 

e tu guardi 

le mie mani

pelle d’ardesia. 


Come vedete la poetessa di Farra ci propone il dialogo tra "umano" e "non umano", tema di grandissima attualità su cui tutti dovremmo interrogarci (ma prima dovremmo "interrogare" la nostra coscienza, se siamo veri uomini e donne) e soprattutto dare risposte serie. Altrimenti per noi si affaccerà un abisso più grande di quello descritto nell'Inferno da Dante. che di piante e uomini ne sapeva. E parecchio.


Serena vuole tirarci fuori dal torpore in cui viviamo di solito, strapparci dalla distrazione a cui spesso ci abbandoniamo quasi senza saperlo, interrompere quella ottusità che tante volte ci avvolge.


E tutto cospira a tacere di noi, 

un po' come si tace

una speranza ineffabile 


scrive Rilke nella Elegia II¹


Però, amici, non si tratta solo di scoprirsi fragili - e chi non lo è?:


Lungi dal proprio ramo,

Povera foglia frale,

Dove vai tu?²


già ci aveva ammonito Leopardi in Imitazione. 

La percezione stessa della nostra fragilità porta infatti con sé, come sua condizione, la grandezza dell'umano:


Il Misterio eterno

Dell'esser nostro 


Natura umana, 

se frale in tutto e vile,

Se polve ed ombra sei, tant'altro senti?³


L'accusa del limite, della finitezza, il senso del tragico implicano quella infinità del desiderio che ci definisce come uomini, anche prima che noi lo sappiamo. E Leopardi è stato chiaro:


Immaginarsi il numero dei mondi infinito, e l'universo infinito, e sentire ancora l'animo e il desiderio nostro sarebbe ancora più grande che sì fatto universo.


Scrive nei Pensieri.


A quella grandezza appartiene anche la presa d'atto della nostra contingenza: non ci facciamo da noi, non siamo noi a procurarci il nostro essere. Al fondo di noi domina una dipendenza. Quella con il "non umano", che lo si voglia o no credere. Oggi, abbiamo la possibilità di diventarne più consapevoli. La poesia serve a questo. Non è un caso che Vittorio Lingiardi, psicoterapeuta, nell'estate scorsa, afflitta dalla siccità, abbia scritto su la Repubblica: "Abbiamo bisogno di geologi e di poeti."


Mi scrisse così Serena nell'inviarmi il Poemetto con pelle d’ardesia:


Simone caro,


amico di mare,

salsedine e fiore,

eccomi a te con il poemetto per un tuffo in pelle d’ardesia. Graffiano le parole. Ma anche sono trasparenti, come vetro. È notte, già oltre l'una. E scappo nel blu del mio letto.

A presto, prestissimo. 


tua

Serena


Farra, venisettemarzoduemilacinque


Conservo ancora la busta, anche questa una piccola e preziosa opera d'arte di una tessitrice di carte, umile e bravissima. 


Va detto, assolutamente, che il poemetto la Dal Borgo lo dedica alla madre, "a sottolineare la dimensione affettiva", scrive nella nota la poetessa Bianca Garavelli:


«Anche le madri di Marzia e Daniele partecipano indirettamente di questa dedica, sono rimaste in attesa, dopo la loro scomparsa, e Serena Dal Borgo mostra di comprendere il doloroso  significato del vuoto che questa attesa rappresenta.»


Spesso ci risulta difficile dare una definizione di "poesia". Per Serena è questo:


Poesia. Due consonanti. Quattro

vocali. Per trattenere la musica della babele delle lingue. In un dire conciso e deciso. Tra suoni e movimenti di emozioni. 

Per me la poesia? Che strano sentirsi presi

nella morsa di una parola che potrebbe 

essere un petalo o un nome. 


Poesia è Respiro. La prima parola che si 

alza è respiro. Un respiro che viene dal

profondo e attraversa l’inconscio, l’oscuro 

per diventare limpido e alato quando si 

fa parola, vedi com’è vicino al tuo lavoro.


Serena Dal Borgo vinse nel 2004 il premio DeltaPOesia - giuria: Franco Loi, presidente, Antonia Arslan, autrice del bestseller La masseria delle allodole, Andrea Gibellini, validissimo poeta, Micaela Rinaldi, studiosa di Giorgio Bassani, e il mio amico, infaticabile e grandissimo cultore di poesia, Stefano Valentini; un premio che se non fosse stato sciaguratamente abbandonato nel 2006 sarebbe ora uno dei premi più importanti in Italia al pari del Viareggio. Credetemi sulla parola - con un trittico di inediti. Vi propongo questa poesia inserita nella plaquette e recitata all'epoca al Giardino Botanico di Rosolina Mare dalla bravissima e sensuale Licia Maglietta, protagonista di quel film straordinario che è Pane e tulipani.


D'acqua e fango

9 ottobre 1963


e il Toc. E la spianata lunare di fango.

e io che quel giorno del nove compivo

                                                [due anni,

la sera del Toc cadente.

la sera della partita del Real Madrid. due anni.

due secoli. e la terra fangosa e il boato. 

e tu forse tre, e noi piccole e lontane.

noi che il Toc ha fatto incontrare.

noi che di terra scaliamo. tu che in acqua 

sali con Va-le-rio e Giuuuu-li-a.

noi che in cielo di luna specchiamo 

con pelle d’ardesia. 


Questa la motivazione del premio:


Un trittico che ha la consistenza e la complessità di un piccolo poema e dove, tuttavia, ciascuna lirica ha anche un valore autonomo. La drammaticità della situazione, nella quale giocano un ruolo anche gli accenni autobiografici, è esasperata e allo stesso tempo sfumata dall'immagine di amore materno, che costituisce il filo conduttore. Lo stile piano, a tratti esclusivamente nominale e quasi cantilenante, crea un insieme di notevole qualità letteraria, ricco di possibili echi ma al tempo stesso compiuto e originale. 


Mi piace concludere questo scritto, cari Amici, andando alle parole della lettera all'inizio. Ossia, quando Serena scrive dei tre libretti d'artista che contenevano, ognuno, una poesia a me dedicata. Eccone una:


non sparire troppo

che la pelle mi si strappa,

diventa rossa, diventa linea

nera di mano martina.

diventa sole. sapore. galassia.


Una poesia. Un'opera artistica.

Per creare emozioni e suggestioni.

Per libretti legati a mano con il filo dell'amicizia.

Come Serena sa fare. Magicamente bene.

Perché è una poetessa. 

Perché è una "bella" persona.


Notizia 

Serena Dal Borgo è nata nel 1961 in Alpago, dove vive. Ha pubblicato per Book Editore In piume (2003, nota critica di Paolo Ruffilli), con pelle d’ardesia (2005, nota critica di Bianca Garavelli), Non ancora (Premi Camposampiero, Garcia Lorca, San Dominichino); diversi libretti d’artista: Svolo (1996), Preludi piumati (1997), Luna lenta (1999), Mia linea (2000), Onda mia (Edizioni Pulcinoelefante, 2004, tavola verbovisuale dell’autrice), Dal morbido dei geli (Edizioni Colophon, 2005, tavole al pochoir di F. Barbi), D’acqua e fango (2005), Senza sorsi e senza sorrisi (2005), Estesa (Edizioni Pulcinoelefante, 2007, opera di F. Barbi), Nelle tue mani (Edizioni Pulcinoelefante, 2007, foto di D. Ferroni), Il respiro della rosa (2007, tavola verbovisuale dell’autrice), Ombre senza voce, senza ali (Edizioni Colophon, 2009, tavole di S. Uberto).

Collabora  con la casa Editrice Colophonarte, di Egidio Fiorin, e fa parte del comitato di redazione della rivista Colophon.

Una sua raccolta di poesie, Se la luna, fa parte dell’antologia di poeti "Novepernove", Alessandro Tarantola Editore, 2003. Fa parte dell’e-book, curato da Lorella De Bon, Sragione di vita. Liriche per Amelia Rosselli, L(‘)abile traccia, 2011. E’ presente anche in altre antologie  tra cui l’antologia Belluno, "Antologia dei grandi scrittori", a cura di Francesco Piero Franchi, Biblioteca dell’Immagine, 2012 e Alfabeto Animale, a cura di Eloisa Guarracino, Fondazione Zanetto, 

Una sua poesia è presente nell’etichetta del vino della pace, abbinata ad un’opera dell’artista egiziano Medhat Shafik.

Per conto dell’Istituto Bellunese di Ricerche Sociali e Culturali ha pubblicato un libro di storia, La lotta partigiana in Alpago e Cansiglio, e uno di racconti, Colori e profumi dell’Alpago e del Consiglio con foto di Claudio Rossi. A cura dell Comunità Montana dell’Alpago: Alpago, immagini per raccontare con foto di Francesco Cerpelloni, 2008. 

Vive a Farra. nella conca dell'Alpago, a sud-est di Belluno, sulla riva orientale del Lago di Santa Croce. 


Note 

¹ da Elegie duinesi, Einaudi. 1978;

² da Cara beltà, Bur, 2010;

³ da Sopra il ritratto di una bella donna scolpito nel monumento sepolcrale della medesima, XXXI, vv. 22-23 e 43-51;

⁴ da Pensieri, LXVIII, Mondadori, 1988.