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La fermata sbagliata (seconda puntata)

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La fermata sbagliata (seconda puntata)

Ciò che mi piacerebbe raccontare in questa rubrica non è necessariamente accaduto in un preciso anno scolastico, in una precisa scuola, in una precisa mattinata, con dei precisi allievi. Episodi, aneddoti e riflessioni derivano da una rielaborazione dell’esperienza di insegnante, lieta osservatrice, insieme a tutti i colleghi, di alcuni momenti in cui la realtà trascolora nella fantasia. Fb

 

 

Caro diario,

a scuola i ragazzi sentono aria di vacanza. In questo periodo si contano i giorni, quelli che mancano al suono dell’ultima campanella.

Nelle prime ore della mattinata qualcosa si riesce a combinare. Il dramma comincia al di là della ricreazione. L’entrata in circolo degli zuccheri e l’adrenalina che monta in quel quarto d’ora di chiacchere e corse all’aperto si rivelano un mix che li stende. In sala insegnanti ci si scervella tra colleghi per contrastare il torpore: da aprile a giugno è tutto un brulicare di progetti a classi parallele, corse campestri, visite alla biblioteca comunale e laboratori in serra.

Qualche anno scolastico fa, era fine aprile credo, ho intuito dagli sguardi bolliti che mi fissavano che spiegare i canti carnascialeschi in aula sarebbe stato inutile. Ho portato la classe in giardino, l’ho divisa in satiri e ninfe e ho fatto loro interpretare il “Trionfo di Bacco e Arianna” di Lorenzo de Medici danzando e cantando “Quant’è bella giovinezza che sì fugge tuttavia! Chi vuol essere lieto sia, del doman non v’è certezza”.  È stato bello.

Da questo periodo in poi, quando anche i quiz alla Lim perdono potere sulle sinapsi cerebrali, volentieri gioco la carta del Mito. Mi piace sorprenderli con storie non troppo conosciute, che raramente si trovano nei testi scolastici. Tra i cavalli di battaglia annovero il mito di Filottete, che si dice possedesse l’arco e le frecce di Eracle, oppure il mito di Damone e Finzia (istantaneamente ribattezzato da un alunno: "di Danone e Cinzia") che racconta la storia di una amicizia vera. Un altro asso nella manica è il mito di Europa che, a dire la verità, meriterebbe un corso monografico, non certo di essere “usato” come stornello antinoia.

Riassumo: Europa, principessa fenicia figlia del re Agenore e della regina Telefassa, era una giovane di una bellezza sfolgorante. Un giorno Zeus la vide mentre giocava con le amiche sulla spiaggia di Tiro (il Libano di oggi). Per lui fu colpo di fulmine. In men che non si dica si trasformò in un bellissimo toro bianco e andò a stendersi ai suoi piedi, comportandosi in modo docile per conquistare la sua fiducia. Appena Europa vinse la diffidenza e salì sulla sua groppa, il toro si gettò nelle acque del mare nuotando vigorosamente fino a raggiungere Creta. Approdati sull’isola i due celebrarono la loro unione, dalla quale nacquero tre figli, uno dei quali, si narra, fu il mitico Minosse.

A questo punto, se sono stata abbastanza brava a teatralizzare il racconto, la classe si è ridestata. Dunque ardisco alle riflessioni.

Europa innanzitutto è una donna. Viene dal Libano, dunque è asiatica. Europa è arrivata in nuovo suolo dal Mediterraneo, con una traversata che unisce idealmente Oriente e Occidente. Tutto ciò ci dice già molte cose. Per metterle in ordine mi faccio aiutare dalle parole dello scrittore Paolo Rumiz, che qualche anno fa, su una vecchia barca con un vecchio amico, ha ripercorso la rotta della nostra madre ancestrale, cui ha dedicato poi il libro “Canto per Europa” (Feltrinelli).

“Europa non è una terra separabile dall’Asia, è una terra che ha visto quasi sempre le popolazioni che l’hanno formata venire da Oriente e che ha il Mediterraneo come suo centro naturale. È una terra fortunata, ricca di acque, di fiumi e di monti, di città. È un luogo misurabile, dove da un campanile vedi un altro campanile e da una montagna vedi un’altra montagna. È una patria comune dove il muezzin e il campanile possono guardarsi da vicino, dove le diverse religioni si incontrano, dove tutto sommato puoi rincasare la sera senza essere aggredito o essere portato via dalla polizia per qualcosa che hai detto”.

Questa terra, la nostra Europa geografica, è stata anche luogo di grandi conflitti passati e purtroppo anche recenti ma fin da bambini impariamo a scuola che ciò che ha caratterizzato la storia del Mediterraneo e delle civiltà cresciute lungo le sue rive sono stati millenni di confronti imperniati principalmente sul commercio e sugli scambi culturali. La conoscenza di nuovi popoli, tradizioni e modi di vivere differenti tiene a bada la violenza perché per negoziare con profitto è necessario comprendere le culture, la lingua e il costume degli altri, cercando di fare in modo che il gesto di scambio arricchisca tutti.

Mito, Geografia, Storia ed Educazione civica, quando si dice interdisciplinarità. Ci spruzzo qualche riflessione linguistica: per indicare straniero e ospite in greco antico esisteva un’unica parola “xenos”; per gli antichi greci il mare, quello navigabile, era “pontos” da cui la nostra parola “ponte”; infine, “portus” in latino è “passaggio” ma anche il luogo dove la nave si riposa. E “importuni”, cioè senza un porto, siamo tutti noi quando non sappiamo dove fermarci.

Tutto questo è il Mediterraneo, che è acqua ma anche cultura, storia, esametri e mitologia. E noi abbiamo la fortuna di abitare in una terra, Europa, dove a scuola di questo si parla.

Li guardo, qualcuno si stiracchia, qualcun altro pensa.

Fb