Cinque stagioni
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Cinque stagioni - recensione

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Cinque stagioni - recensione

Due anni fa ci ha lasciato lo scrittore Abraham B. Yehoshua, testimone, assieme ad Amos Oz e David Grossman, della complessa eredità del mondo ebraico. Con una prosa pulita, e al tempo stesso raffinata, ci ha accompagnato attraverso le sue opere nell’indagine psicologica dei suoi personaggi, sempre intrecciata alle radici e ai problemi della vita in Israele, che si snoda su sfondi di guerra, evocati con discrezione, ma facendone sentire il peso.

Nella libreria della mia stanza di montagna spicca, col dorso rosso, un suo volume corposo: Trilogia d’amore e di guerra, che comprende L’amante, Un divorzio tardivo, Cinque stagioni. E’ uno di quei libri che ti accompagnano negli anni, e infatti è trascorso parecchio tempo da quando ho letto L’amante, storia in cui si sfiorano nella convivenza, senza un vero incontro, il mondo arabo e quello ebreo; così, come l’intreccio dei rapporti sentimentali e familiari evidenzia, nelle diverse voci, l’impossibilità di un rapporto profondo e sincero anche tra le persone più vicine fisicamente.

Durante il periodo agostano ho ripreso in mano le 1171 pagine della trilogia e, invertendo l’ordine, ho scelto di leggere Cinque stagioni. Le stagioni in cui si dipana la storia sono cinque perché si ripete la prima, quasi a chiudere un ciclo per il protagonista, Molcho, e per le sue stagioni interiori.

Incontriamo questo cinquantenne fin dalla prima riga, quando, alle quattro di un mattino autunnale, muore la moglie, nella stanza da letto in cui l’assisteva con amorevoli cure da sette anni. Molcho cerca di incidere “il momento” dentro di sé, per ricordarlo; osserva il gioco di luci e ombre della stanza, il buio del cielo mattutino, mentre ascolta la musica di Mahler che da tre giorni accompagnava la malata, desiderosa di finire la vita con quella melodia… Ripercorre le parole, le cure, la trasformazione della stanza divenuta un’infermeria, il momento in cui spegne il lumino, prima sempre acceso di notte accanto a lei, aprendo poi la finestra quasi a darle libertà, anche se dentro di sé non crede in quella libertà, ma solo in un annullamento, e poi esce sulla terrazza. Nessuno, ancora, sa della morte: questo gli dà un senso di sollievo. Un breve momento per me stesso, pensò, prima che la gente si precipiti, prima che abbia inizio il trambusto, prima di non essere più lasciato in pace. Il fatto di essere lui solo a sapere, gli dava forza e vantaggio.”

Comincia così, con le prime sette pagine che incatenano il lettore, il tema del romanzo; è la cronaca di un lutto che verrà elaborato, appunto, nell’arco di cinque stagioni: dall’autunno all’autunno successivo.

Da subito c’è il vuoto; la nostalgia per la malata assume persino la forma del suo materasso speciale, restituito velocemente perché preso a nolo. Nei primi giorni del lutto le cose da sistemare sono tante… nella società civile la morte comporta una quantità di atti burocratici. Quando rientra nella casa deserta - i suoi tre figli sono fuori - il silenzio profondo, nuovo, gli mette addosso una grande tristezza.E la tensione della morte già si attenuava intorno a lui. Ora pareva che le persone si allontanassero, come se fossero state la malattia o la morte ad attirarle.” La figlia soldatessa, in licenza per il fine settimana, e il ragazzo impegnato negli esami all’Università presto sarebbero ripartiti, lasciando con lui solo il figlio minore, Gabi.

Il tempo si apre, davanti a Molcho, come una grande strada deserta: lì cerca lo scopo dei giorni, la ragione profonda del vivere, e pensa a come ricominciare, magari, ad amare.

Viaggia, va ai concerti, desidera di nuovo innamorarsi, anche se nei tentativi di allacciare dei rapporti con una collega, come lui vedova, o con una donna che gli viene proposta in moglie da un amico che la vorrebbe ripudiare perché sterile, appare incerto, ritroso quasi, incapace di prendere l’iniziativa in campo sessuale, dopo tanti anni di astinenza dai rapporti, che la moglie, amputata di entrambe le mammelle, non aveva più voluto.

Un blocco emotivo, il suo, scalfito solo da una bambina indiana esile e un po’ strabica, che conosce durante un incarico di lavoro in un villaggio della Galilea, dove la convivenza fra arabi ed ebrei è più difficile, e arriva più palpabile il sentore di una possibile guerra col Libano. Aveva “una durezza fiera e gentile al tempo stesso, e si chiese perché ne era così affascinato: - E’ come se mi fosse entrata nel sangue, si disse, ma è una pazzia -.

Vediamo Molcho trascorrere giorni invernali freddi e nevosi a Parigi, ospite di parenti affettuosi, mentre il tempo scorre e dopo una primavera dal vento caldo e secco, ricca dei fiori degli oleandri, scoppia la “super estate”. “Ebbe inizio a metà giugno; fu come se una mano, invisibile ma vigorosa, sbarrasse l’orizzonte sul mare, elevandovi un muro di colore bianco-sporco; e la tiepida e temperata costa mediterranea divenne un inferno selvaggio. Già ai primi albori si poteva sentire come il vento bruciava l’aria, la colonna del mercurio nel termometro era balzata in alto e poi era restata intrappolata lassù”. Arriva così l’autunno, che si ripete e chiude il ciclo… E davvero non era un autunno, ma solo un’estate infiacchita, in cui a volte prendeva corpo una meravigliosa schiarita”.

E’ nuovamente l’autunno, quando Molcho si sente quasi calamitato verso la dolorosa tappa di un viaggio in Germania, alla ricerca della casa in cui la moglie era nata e dove aveva abitato per alcuni anni, dall’avvento di Hitler al potere, fino all’immigrazione in Palestina con la madre, dopo che il padre si era suicidato. Al suo ritorno da Berlino trova ad accoglierlo all’aeroporto la figlia, che lo accompagna alla Casa di riposo in cui la vecchia suocera sta morendo. In questo secondo scenario di morte Molcho riflette sulla sua incapacità di reagire al lutto e di rifarsi una vita; ripensa con amore alla moglie, sorpreso e sgomento di non aderire nel pensiero a nulla di concreto. Dopo un anno avverte una nuova libertà, che quasi lo impaurisce, ma sente essere vicina una vera rinascita: “Certo ci sono altre donne, donne vere, ma ci si deve proprio innamorare, altrimenti tutto questo non ha scopo, - pensò Molcho, tristemente, un po’ preoccupato; - ci si deve proprio innamorare”.

Ci congediamo così in queste ultime righe, in punta di piedi e con tenerezza, dal personaggio angosciato e spaesato, divenutoci caro nei tentativi a volte patetici e perfino simpaticamente ridicoli, di reinventarsi una vita.

La vita di Molcho, divenuta letteratura nell’arte di Yehoshua.