Nel numero 66 di Venetica, uscito mesi fa, ma che ho letto solo ora, buona parte del volume è dedicata al saggio di Valentino Zaghi “Matteotti e il Veneto”, che riguarda la specifica “veneticità” di Matteotti, profondamente legato alle vicende del Polesine e della sua regione, da lui messe pragmaticamente in rapporto col suo lavoro di parlamentare. Nel drammatico crescendo del biennio 1921-22 Matteotti incalza il Governo sui fatti di violenza squadrista avvenuti a Loreo, Pincara, Gavello, Porto Tolle, Adria. Tutto questo, fino a diventare, lui, la vittima: il più irriducibile e “giusto” tra gli oppositori. Zaghi ci dà conto delle lettere e telegrammi ricevuti dalla famiglia, della prima tomba e della traslazione della salma, degli aspetti della “memoria” anche materiale: diffusi, ad esempio, i bottoni da polso raffiguranti la testa di Matteotti. Un ampio spazio del saggio è dedicato a “La stampa e il delitto”, in cui emergono le posizioni delle varie testate regionali.
Seguono approfondimenti di vari autori, che riportano gli echi del delitto nella stampa italiana, inglese, francese (questo a firma dello stesso Zaghi), statunitense e argentina.
La notizia del rapimento del deputato veneto, il 10 giugno 1924, nell’ondata emotiva di tutto il Paese fa andare a ruba molte edizioni straordinarie e, contemporaneamente, porta anche le piazze estere a riempirsi. Dall’Europa e dalle Americhe partono centinaia di telegrammi alla famiglia e al Partito di Matteotti, chiari nell’individuare i mandanti e gli esecutori tra le fila di una congiura fascista.
La stampa italiana e straniera avverte come l’affaire Matteotti segni un “prima” e un “dopo”.
I giornali italiani di opposizione individuano subito l’aspetto politico dell’operazione, mentre i filofascisti la rivestono di un alone di criminalità comune, dovuta a qualche balordo.
Il Popolo d’Italia, nel tentativo di avvalorare l’ipotesi di un allontanamento volontario di Matteotti, lo definisce “uno sbadato, un menefreghista che più di una volta si è improvvisamente allontanato senza avvertire i familiari”.
La sera lo ritiene un delitto comune, legato a motivi affaristici e non politici: “Matteotti avrebbe dovuto pronunciare un discorso molto duro sull’affarismo quindi non è da escludere che si sia voluto sopprimere la sua voce molesta. Molesta non già per il Governo e per il fascismo, ma senza dubbio per coloro che all’ombra del fascismo trafficano troppo apertamente. Se di delitto proprio si deve parlare, allora il movente sta all’infuori di ogni ragione politica e di partito”.
È l’Avanti che sintetizza lo stato di smarrimento che coglie l’opinione pubblica di fronte alla scomparsa e alla probabile uccisione di Matteotti: “L’ansia, l’angoscia sono generali. Tutta Roma, tutte le città, le borgate d’Italia sono rimaste esterrefatte dalla lugubre notizia e attendono spasmodicamente che la luce sia fatta”. Il quotidiano socialista prevede che il governo non abbia l’intenzione di restituire il corpo, perché “i particolari di questo efferato assassinio farebbero inorridire il mondo. Ecco perché quel cadavere non si restituirà che dopo qualche mese”.
L’Unità afferma trattarsi di un delitto del fascismo, commesso da protetti dal palazzo del governo; evidenzia tre capi d’imputazione: affarismo, protezione, incitazione. La conclusione, per l’Unità è che “il fascismo nato nel sangue affoga nel fango”.
In Inghilterra, come mette in luce Francesca Bottin, “Il grosso merito della stampa britannica, sia laburista che conservatrice, è senza dubbio quello di fornire una visione sostanzialmente oggettiva della situazione italiana con le inevitabili ripercussioni a livello mondiale. Per quanto queste posizioni vengano, a seconda della collocazione politica, esplicitate o meno, i giornalisti inglesi si rivelano sagaci e attenti nell’offrire all’opinione pubblica una corretta e oculata lettura del caso”.
In Francia, come ci racconta Valentino Zaghi, l’effimero esecutivo radicalsocialista di Edouard Herriot, eletto nel maggio 1924, fa in sostanza prevalere il mantenimento di scelte ed equilibri sanciti dalle trattative internazionali. La notizia della scomparsa di Matteotti viene diffusa il 13 giugno 1924 attraverso succinti trafiletti, ma per i giornali della sinistra francese “l’affaire Matteotti” diventa da subito un “crime fasciste”. Per l’ultimo nato, Paris-Soir, le responsabilità del fascismo e di Mussolini nell’omicidio sono indiscutibili; colpevoli gli alti funzionari corrotti e complice la monarchia, collusa con le camicie nere. Le promesse di Mussolini di perseguire i colpevoli sono prive di credibilità: “Chi crede di prendere in giro? All’origine del delitto c’è il fascismo, c’è Mussolini”.
Le Temps, che rappresenta la destra nazionalista e repubblicana, nell’edizione del 21 giugno scrive; “Le notizie dall’Italia sono troppo importanti perché noi possiamo astenerci dal commentarle” ma precisa di non essere “ispirato da alcuna passione né da alcuna intenzione di prendere posizione negli affari interni italiani”. Con il passare delle settimane i commenti del quotidiano lasciano sempre più spazio alle esigenze della politica francese e ritiene che Mussolini rimanga indispensabile agli occhi della maggioranza degli italiani.
In generale, scrive Zaghi, per i giornali moderati e conservatori l’avvento del fascismo “trova giustificazione nell’insufficiente democrazia dell’Italia liberale, nell’arretratezza civile e morale degli italiani, nella loro predisposizione alla subordinazione. Non pochi tra gli intellettuali e gli uomini politici ritengono che il fascismo-inaccettabile dal popolo francese- sia tutto sommato una forma di governo efficace per gli italiani indisciplinati e democraticamente immaturi, disposti a rinunciare senza reagire alle libertà singole e collettive”.
Negli Stati Uniti l’opinione prevalente è che il delitto Matteotti sia opera di criminali della finanza e dell’industria per evitare la diffusione di gravi irregolarità a opera di membri del governo e del partito fascista, in combutta con banche e imprese, a partire dalla Sinclair Oil Company. Solo un ristretto numero di periodici, legati al mondo sindacale, socialista e anarchico prende da subito posizione, accusando esplicitamente Mussolini. L’organo del sindacato Industrial Workers of the World, Il Proletario, nella versione in lingua italiana del 28 giugno, scrive: “Il massimo, il solo responsabile di questo delitto, il più atroce che sia stato commesso dopo la Crocifissione, è Benito Mussolini”.
Tra i corrispondenti inviati in Italia dalla Chicago Daily Tribune fa sentire la sua voce John Clayton: “Siamo limitati dalla peggiore censura. Ci è vietato scrivere qualunque cosa possa riflettersi sui fascisti (…) Mi piange il cuore non poter riportare sul caso Matteotti come dovrebbe essere fatto, ma significherebbe arresto ed espulsione dall’Italia”.
In Argentina, come ci racconta Federica Bertagna, la figura di Matteotti mantiene un ruolo importante fino alla metà degli anni Trenta, sia nell’ispirare un ‘campo largo’ antifascista, sia nell’essere la figura simbolica attorno alla quale si costruisce il legame tra il movimento antifascista italiano e il Partito socialista argentino. Si pensi, naturalmente, che gli italiani residenti in Argentina negli anni Venti rappresentavano il 12,5% della popolazione, con punte del 20% nella capitale Buenos Aires e a Rosario, le due principali città.
Di fronte all’assassinio Matteotti la stampa si divide. Il principale quotidiano della collettività italiana, La Patria degli italiani, su posizioni monarchico-moderate, parla di un delitto “senza nome e senza spiegazione”, mentre L’Italia del Popolo attribuisce sùbito la responsabilità al governo. In genere sulla stampa argentina la copertura della notizia della scomparsa di Matteotti risulta molto ampia e il fatto viene additato come “incidente transitorio”.
Ho fatto solo una carrellata veloce su questo saggio, da cui emerge un coro fatto di posizioni nette e sfumature le più diverse. Davvero una lettura interessante.