Conoscere e capire gente abituata ad altre vite
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Il senso della natura

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Il senso della natura

Andare via”. È il titolo della premessa ai vari capitoli, che ci porteranno, senza pagare alcun biglietto, attraverso sette “sentieri”: da città come New York, Roma, Lagos, alle Galàpagos; dalle piante della foresta amazzonica ai gorilla del Congo, passando dai vulcani dell’Indonesia al mondo immenso delle piante e degli animali. “Sentieri” che toccano tutti i continenti.

Lo scopo? Conoscere e capire “gente abituata ad altre vite”. In questo senso, come viene sintetizzato nella citazione di Proust, il vero viaggio è “Vedere l’universo con gli occhi di un altro, di cento altri”.

Ci si identifica facilmente con l’autore, che apre sipari di paesaggi accompagnati da riflessioni intense, facendoci incontrare, lungo la via, le intuizioni e il pensiero di grandi esploratori, scienziati e filosofi. Il pregio di questo libro, infatti, è anche quello di offrirci, assieme alla narrazione, conoscenze scientifiche, riflessioni sul futuro del nostro pianeta, riferimenti filosofici e letterari sul concetto di natura.

È un percorso, il suo, durato circa vent’anni. Al momento di sceglierne la direzione da offrire ai lettori, Pecere parte proprio da alcune grandi città per confrontare la vita quotidiana, che anima le metropoli, con l’ambiente non industrializzato.

La “natura selvaggia”, dapprima ostacolo allo sfruttamento delle risorse e alla costruzione della civiltà, agisce - a distanza di tempo - come un miraggio seducente, un sentimento nostalgico. “In effetti, il rapporto di dipendenza e distacco tra città e dimore nei boschi è antico. Thoreau citava a memoria Orazio: “Non c’è al mondo poeta che non ami il silenzio dei boschi / e non fugga la città”.

Ecco il tema sottotraccia del libro: l’amore per la natura, il tentativo di sviluppare un senso di quell’utero cosmico che è la natura.

Viaggiare amplia la visuale, ma per dare valore alle conoscenze, secondo Pecere, è necessaria la componente emotiva. Ad esempio, rispetto al cambiamento climatico è risaputo da tempo l’impatto prodotto dalle attività umane; nel 1970 si celebra il primo Giorno della Terra; negli anni Ottanta si inizia a parlar di “sviluppo sostenibile”; città di tutto il mondo ospitano riunioni di capi di Stato per discutere il problema. Ma c’è chi si sfila, e c’è la tendenza a negare l’evidenza scientifica, a percepire l’emergenza come remota, astratta. Dice lo studioso Dale Jamieson, che per trent’anni si è occupato di questi problemi: “Non c’è alternativa ai fatti, nessun sostituto per l’evidenza, nessun rimpiazzo per la ragione. Forse non possiamo salvare il mondo, ma dobbiamo almeno pensare per ridurre i danni. Eppure, anche se riusciamo a pensare che qualcosa sia una minaccia, siamo meno reattivi che se sentiamo che è una minaccia”. Se la ragione ci fa capire davvero cosa sta succedendo, la sola verità scientifica non basta a smuoverci: senza il sentimento la ragione è inerte.

Allo stato del pianeta e allo scontro tra sfruttamento selvaggio delle risorse e loro conservazione, sono dedicate profonde riflessioni; a partire dalla Nigeria, invenzione coloniale che contiene centinaia di etnie e lingue diverse. Una Nigeria che condensa le piaghe del capitalismo: sovrappopolazione, insufficienza di cibo e risorse naturali, disuguaglianza, inquinamento. Il colore dominante è il nero del petrolio, estratto soprattutto nel Delta del Niger: è qui che i governi europei cercano approvvigionamenti alternativi a quello russo. “La povertà spinge la gente a rubare dalle tubature per poi raffinare artigianalmente una specie di gasolio e venderlo, al dettaglio o alle stesse compagnie petrolifere, che così risparmiano sulla raffinazione e rivendono un prodotto scadente. Tutto questo ha conseguenze ambientali spaventose. Gli sversamenti accidentali o dolosi hanno disperso milioni di tonnellate di petrolio. Le acque del Niger sono a tratti così inquinate da rendere impossibile la coltivazione, il che spinge ancora più gente a rubare il petrolio.” È chiaro che da questa situazione non si esce difendendo le tubature, ma smettendo di dipendere da un’unica risorsa, per esempio sviluppando un turismo che ora stenta a crescere, proprio per l’insicurezza e la distruzione dell’ambiente.

Così, sulla costa caraibica della Colombia, il campesino che fa da guida al gruppo di turisti organizzati indica vaste superfici disboscate: prima è stata avviata l’agricoltura, poi la riconversione delle colture a vantaggio della coca, e con la droga la guerra. Ora il turismo è un aiuto prezioso, per uscire dal periodo buio: permette di cambiare attività ai coltivatori, favorisce un rapporto positivo con le comunità indigene.

Forse, colpito da queste tangibili ‘offese’ fatte all’ambiente, l’autore cerca - come gli insegna, con una parola nuova, un gelataio di Medellín – di desmarañar. È una ricerca di orientamento, di senso, di rischiaramento: ecco allora la via dell’acqua, dei ghiacci, l’arrivo in Patagonia a quarant’anni dal famoso libro di Chatwin, l’immersione nell’Oceano Indiano.

Prenderci cura dei mari è importante anche perché, quando ci tuffiamo nelle loro acque, ci immergiamo nella comune origine di tutti noi. Il filosofo presocratico Anassimandro immaginava che gli uomini fossero nati in un ambiente umido, dentro altri animali. Ma già per Plutarco, all’epoca dell’Impero romano, quel racconto era grossolano. Preferiva pensare che uomini e pesci fossero originati entrambi da una sostanza umida”.

Ecco allora il “sentiero” degli animali, e quello delle piante; l’incanto della foresta e dei monti di Giava, con la stessa domanda nella mente: “in quali modi una montagna, un paesaggio, può dare senso alla nostra vita e all’ambiente che ci circonda?” Forse, come pensava lo scienziato ed esploratore Humboldt “la relazione del paesaggio con la vita interiore è l’aspetto più nobile del piacere che la vita ci offre”. L’assenza di ogni scopo, quando camminiamo, come capì il poeta surrealista André Breton, ci distacca assai presto dalla realtà, permettendo un’esplorazione dell’inconscio…

Il senso della natura potrebbe essere proprio il rapporto fra l’uomo e l’altro. La consapevolezza che l’origine comune, l’unione di ciò che esiste sulla Terra, sia la base per cambiare lo stato attuale del pianeta., fondare nuovi rapporti con gli elementi e le differenti forme di vita.