Recensione: La ricreazione è finita - Dario Ferrari
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Il viaggio avvincente di Dario Ferrari

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Il viaggio avvincente di Dario Ferrari

Da tempo non provavo uno stato di grazia come durante la lettura di questo romanzo.
 

In genere dopo l’acquisto di un libro lo tengo in mano, guardo la copertina e vado all’incipit per vedere che effetto mi fa, posandolo in attesa di un tempo senza troppe interruzioni.

Questa volta, impossibile! Dopo le prime righe ho proseguito ininterrottamente fino a pagina 191, ritardando la cena. Il giorno dopo, il resto, fino al momento triste del congedo in cui il piacere sensuale della lettura sfuma nella pena del distacco…la ricreazione è finita…anche se ci resta sempre un’arma formidabile, che è la ri-lettura.

Che cosa mi ha conquistata in questo romanzo meraviglioso? Sicuramente lo stile. Scrittura fresca e avvincente, senza fronzoli ma molto curata e ‘confidenziale’: sembra proprio che Ferrari (anzi il suo protagonista e per certi aspetti alter ego, Marcello) le stia raccontando a te, tutte queste cose. Ma anche la struttura è originale, tanti mondi in uno: l’ambiente di provincia, quello accademico, gli anni di piombo, Parigi. Poi, scopriamo addirittura un romanzo nel romanzo e, per non farci mancare nulla, un finale a sorpresa! 


Marcello Gori è un trentenne viareggino ancora incerto sulla direzione da prendere dopo una laurea in Lettere raggiunta senza infamia e senza lode. Conduce una vita da eterno adolescente col suo gruppo di amici, con cui condivide tutto, specie le ore al bar.

Ha anche una fidanzata, Letizia, bella e ricca, molto diversa da lui perché sa quel che vuole e tenta di dare stabilità al loro rapporto: matrimonio, casa, figli.

Marcello vive invece di lavoretti saltuari e ripetizioni, che gli fruttano ben poco, ma a Pisa, dove si reca nei paraggi dell’Università in un momento di nostalgia, viene a sapere da un amico di vecchia data che c’è un concorso di dottorato in Lettere e, quasi per sfida, decide di partecipare. Nonostante non abbia speranze, per una serie di fortunate coincidenze vince una delle due borse assegnate. Qui entriamo in pagine bellissime e illuminanti sugli intrighi e sulle crudeltà del mondo accademico, che l’autore ci svela con dissacrante ironia e con cognizione di causa, poiché nella vita Dario Ferrari ha studiato filosofia a Pisa, dove ha conseguito un dottorato di ricerca. Nelle trame di potere emergono i baroni universitari quali rockstar dagli ego smisurati: Gente che scuote la testa incredula nel constatare che il loro “La metrica nella poesia vernacolare italiana tra Ottocento e Novecento” ha venduto meno dell’ultimo Strega.

Esilaranti pure le pagine 188-191 in cui, nel dialogo tra Marcello e l’amico Pier Paolo, si sottolinea il vero, sottinteso significato delle apparenti lodi che si scambiano a un Convegno i grandi luminari di italianistica: ”L’ha insultato dicendogli che è colto?”

“Che poi a dirla tutta Sacrosanti ha fatto di peggio: non gli ha detto colto, ma dotto, che è il gradino inferiore, perché perde anche quella scarsa positività – il fumo culturale – di colto. Dotto significa, sostanzialmente, “una palla mortale, per quanto erudita”.

“Allora poteva dirgli erudito”, azzardo.

“Be’, non esageriamo: erudito è l’ultimo scalino di questa scala dell’abiezione. Se ti dico erudito significa “Non solo sei una palla mortale, ma sei pure gratuitamente saccente” Certo, saccente sarebbe peggio…”  E così via, inanellando altri epiteti.

Bene, il Sacrosanti, che è il professorone maestro di baronato selvaggio cui fa capo il nostro dottorando, gli assegna una tesi su Tito Sella, misconosciuto scrittore viareggino, nonché terrorista nella Brigata Ravachol, finito giovane in carcere fino alla morte. La ricerca per la tesi dovrebbe portare alla luce una presunta autobiografia del Sella, mai ritrovata, intitolata La Fantasima, una parola a metà tra fantasia e fantasma. L’archivio Sella si trova a Parigi, ed è lì che andrà fatto il lavoro di Marcello, ma le prime notizie sulla Banda Ravachol gliele racconta sua madre, che gli anni Settanta li ha vissuti e ricorda la bomba dimostrativa, senza morti né feriti, al Carnevale di Viareggio e poi gli attentati, i sequestri. La banda a questo punto voleva far sul serio, ma Tito no, la sua aspirazione era diventare scrittore, e in carcere scrive e scrive.

Sarà a Parigi che, scartabellando i quaderni, gli appunti di Tito, e leggendo i suoi romanzi, scatterà l’identificazione di Marcello con Tito, tanto da comporre lui stesso una Fantasima (ecco il romanzo nel romanzo) e da provare, come Tito, l’amour fou per una donna, che nel suo caso non è la storica fidanzata Letizia. “Prima avevo studiato i suoi romanzi, poi mi ero messo a riscrivere la sua vicenda: adesso era venuto il momento di provare a diventare lui”.

Gli anni di piombo, con la galassia dei gruppetti, gli espropri proletari e le contestazioni svelano a Marcello la voglia di cambiamento di una generazione pur tra le incongruenze e i dubbi. “Era uno dei momenti in cui sembrava davvero di andare da qualche parte, e di andarci tutti insieme”

“La ricreazione è finita”, titolo del romanzo, scaturisce da una riunione della banda in cui uno di loro dice enfaticamente che è finito il momento di giocare ai rivoluzionari ed è ora di fare sul serio, ricordando la frase che De Gaulle rivolse agli studenti durante il maggio parigino, invitandoli a tornare a scuola.

E la ricreazione è finita anche per Marcello che da questa esperienza uscirà cambiato, anche se non posso dire come, per non togliere gusto a chi, spero, vorrà leggere questo che in definitiva è anche un intenso romanzo di formazione.