L'affaire Dreyfus (quarta e ultima parte)
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- Notizia pubblicata il 25 agosto 2023
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- Scritto da Liana Isipato
Nell’ondata de L’Affaire, che travolge -come abbiamo visto- il mondo intellettuale e artistico, non mancherà un duello eccellente, chiuso in pareggio: quello di Proust contro lo spregevole ‘gazzettiere’ Duval che aveva pubblicamente rivelato la relazione omosessuale del giovane scrittore. Nascerà un nuovo giornale, La Fronde, progettato, scritto e distribuito esclusivamente da donne. Fondato dalla giornalista MargueriteDurand, trova la sua punta di diamante in Caroline Rémy, conosciuta come Séverine. Parigi vedrà l’ingresso, dopo due anni di carcere per sodomia, di un Oscar Wilde ormai in piena decadenza. Capace però, attraverso la frequentazione di Esterházy, dovuta a un comune conoscente, di affascinare quest’ultimo, al punto da fargli pronunciare, durante una cena, le seguenti parole: “Ma sì! Perché non dovrei dirlo a voi? Sono io, Esterházy, il solo colpevole. Io ho scritto il bordereau. Io ho fatto andare Dreyfus in prigione e la Francia intera non è stata capace di tirarlo fuori!”
In questo clima si arriva al processo per diffamazione contro Zola. Il comportamento del magistrato Delegorgue, che con il ritornello “la domanda è respinta” impedisce all’avvocato Labori qualsiasi chiarimento, rende evidente che c’è molto da nascondere. “Nel corso del processo Zola la sinistra repubblicana comprese l’esistenza di una manipolazione politica e militare dell’Affaire e cambiò idea. Uomini come Clemenceau o Jaurès, ostili a Dreyfus nel 1894, finirono per essere convinti dagli altri sostenitori della causa e iniziarono a impegnarsi nella lotta. Per loro era giunto il momento di dedicarsi pienamente alla riabilitazione del capitano.” Nonostante gli appassionati interventi di Zola, dopo quindici giorni di udienze i giurati, schiacciati da un’enorme responsabilità, ma altrettanto dalla paura, votano per la condanna massima prevista: un anno di carcere e tremila franchi di multa.
Zola impugna la sentenza. Gli avvenimenti si fanno estremamente contorti, tra rivelazioni, calunnie e un militare apparentemente suicida, ma in realtà assassinato prima che le sue parole scardinassero la montatura accusatoria contro Dreyfus. Zola, incastrato in un secondo processo, vede confermata la condanna alla pena massima. I suoi amici gli consigliano l’esilio a Londra, presentato nel giornale L’Aurore non come una fuga per sottrarsi alla punizione, ma come la via per tener aperto il caso.
È a questo punto che Trellini ci svela la doppia vita di Zola.
Per le vacanze estive del 1888, assieme ai coniugi erano partiti due domestici e la giovane guardarobiera Jeanne, da poco assunta da Madame Zola. Durante una breve malattia che la costringeva in casa, quest’ultima suggerì al marito di fare con Jeanne le sue passeggiate sulla spiaggia. Quelle passeggiate rivelatorie portano Zola, 48 anni, a mettersi a dieta e ringiovanire, per sedurre la ventunenne Jeanne che a dicembre diventerà la sua amante, collocata in un appartamento su Place de la Trinité. Solo dopo la nascita del secondo figlio, da questa unione segreta, Madame Zola, avvertita da una lettera anonima, supera la rabbia e l’umiliazione concedendo al marito di mantenere i rapporti con l’altra famiglia, ma di nominare con lei, che non glieli aveva potuti dare, solo il nome dei bambini, senza mai evocarne la madre. Zola rispetta il suo desiderio e divide la sua vita tra due case. La drammatica svolta degli eventi costringe così un uomo metodico come lui a cambiare la sua vita e lo strappa a due donne e due figli…
Frattanto, grazie alla propria pignoleria e al senso del dovere, il capitano Cuignet, incaricato dal generale Gonse di mettere ordine nel dossier Dreyfus, scopre clamorosamente che la prova delle prove, la lettera che inchiodava Dreyfus durante il processo e che era stata stampata in 36.000 copie per far conoscere l’infamia di Dreyfus in tutti i comuni francesi, era falsa! “La lettera era stata costruita attaccando grossolanamente due fogli di carta distinti: uno con le quadrettature in filigrana di colore viola, l’altro con le quadrettature grigie, leggermente più piccole delle prime.”
Cuignet, fino a quel momento convinto della colpevolezza di Dreyfus, con onestà e coraggio denuncia la scoperta al ministro. che dopo aver fatto compiere scrupolose verifiche convoca a un serrato interrogatorio l’autore di quel malefico collage: la nostra vecchia conoscenza, il maggiore, poi colonnello Henry, che aveva ricevuto da Madame Bastian quelle lettere strappate in tanti pezzi. Dopo una raffica di domande, durata quarantacinque minuti, Henry crolla e ammette la sua colpa. Incarcerato, abbandonato da tutti, si suicida tagliandosi la gola il pomeriggio dopo, trovando il coraggio in mezza bottiglia di rhum. Il resto, è dentro la bottiglia appoggiata sul tavolino da notte.
Il castello di carte degli antidreyfusardi sta crollando, e uno scossone glielo dà anche lo scrittore, giornalista e polemista Octave Mirbeau. Grande amico di Monet, impegnato passionalmente nella causa di Dreyfus, Mirbeau si accolla il pagamento per evitare il sequestro e la vendita dei beni di Zola, dopo la condanna di quest’ultimo nel secondo processo. Mathieu Dreyfus conosce Mirbeau, frequentando la sede del giornale L’Aurore e resta colpito dal suo animo tenero, in contrasto con l’irruenza del carattere.
Seguono giorni infuocati e il 22 ottobre viene presentata una petizione per la revisione del verdetto Dreyfus, alla suprema Corte d’appello. Il 29 ottobre la domanda viene accettata e la Corte ordina di informare Dreyfus con un cablogramma, che arriva il 16 novembre all’Île du Diable. Dopo dodici giorni viene finalmente concessa qualche ora d’aria al capitano. “Era una semplice passeggiata, in pieno sole e su un corridoio di terra secca. Ma, grazie a questa, Dreyfus, per la prima volta dopo due anni, vide di nuovo il mare”.
In Francia i dreyfusardi vogliono scoraggiare il rifiuto della revisione; per farlo, convincono il direttore de Le Figaro a pubblicare tutti i documenti delle inchieste precedenti. La tiratura del giornale schizza alle stelle, impressionando enormemente l’opinione pubblica.
Finalmente la Corte d’appello si riunisce per pronunciare l’esito sulla petizione e il giudice Ballot- Beaupré, dopo aver passato in rassegna i punti cruciali del caso afferma che l’unica prova contro Dreyfus, il famoso bordereau, risulta non sia stato scritto da Dreyfus, ma dal maggiore Esterházy. Ordina che Dreyfus venga sottoposto a un nuovo processo di fronte alla corte marziale, il 7 agosto. “Due giorni dopo Zola lasciò Londra per fare ritorno a Parigi dopo undici mesi di assenza. Il suo esilio era finito. Non era il solo. Nelle stesse ore, il capo guardiano dell’Île du Diable corse verso la cella di Dreyfus con un telegramma in mano”. Finalmente il capitano Dreyfus esce da un lungo e spaventoso incubo e, all’annuncio della sua liberazione e del ritorno in Francia, inizia a intravedere il futuro.
Il processo, depistato a Rennes, fa di questa sonnacchiosa cittadina di provincia, il centro del mondo. E non sarà poi un posto così sonnacchioso, se un mattino di buonora l’avvocato Labori viene colpito alle spalle da uno sparo. Invano chiede aiuto ai passanti, perfino un prete prosegue senza compassione il suo cammino. “Le passioni politiche, il fanatismo religioso, le leggende sul traditore ebreo, tutte queste menzogne ripetute all’infinito dai giornali -racconterà Mathieu- avevano turbato gli animi, avevano reso feroci questi uomini e ciò spiegava il delitto”. Nove giorni dopo l’attentato, Labori torna in aula, accolto da un lungo applauso. L’arringa della difesa sarà però pronunciata da Demange, il primo a credere nell’innocenza di Dreyfus. E sarà lui a scoppiare in lacrime davanti a tutti dopo il verdetto che riconosce Dreyfus nuovamente colpevole di tradimento ma con “circostanze attenuanti” e lo condanna a dieci anni di lavori forzati.
Il mondo reagisce: la regina Vittoria esprime pubblicamente solidarietà col “povero martire” e negli Stati Uniti le persone per strada manifestano bruciando la bandiera francese. La sentenza lascia di stucco anche il presidente del consiglio Waldeck-Rousseau. Sarà lui a suggerire a Dreyfus di accettare il verdetto: “L’accettazione avrebbe introdotto la grazia e questa avrebbe annunciato l’amnistia. In questo modo la sentenza militare sarebbe stata accettata e la libertà concessa.”
Mathieu si reca a parlare col fratello alla prigione militare. “Mathieu gli raccontò gli avvenimenti del giorno prima e gli mostrò il suo futuro, la libertà, la gioia di riabbracciare i bambini, l’affetto di Lucie. Cercò di fargli sentire tutto quel calore che aveva dimenticato e che rischiava di perdere per sempre. “Ma la grazia,” disse Alfred, “implicherà il riconoscimento di una colpa che non ho mai commesso”. Il suo senso dell’onore smisurato lo portò a rifiutare l’offerta. “A cosa serve un innocente morto?” gli rispose Mathieu. Dreyfus era stremato dagli eventi. Aveva desiderio di non perdersi altri anni della vita dei suoi figli. E alla fine cedette.”
Mercoledì 13 settembre 1889 Waldeck-Rousseau propone a Mathieu di far visitare Alfred da un medico
Giovedì 14 Il dottor Delbet visita Alfred e stila la sua relazione
Venerdì 15 Waldeck-Rousseau mostra il rapporto del medico al Presidente Loubet
Lunedì 18 Mathieu viene avvisato che la grazia sarà firmata il giorno seguente
Martedì 19 Loubet firma la grazia. La sera Alfred lascia il carcere di Rennes, da uomo libero e ritrova, dopo cinque anni, il fratello fuori da una prigione.
Nel dicembre del 1900, prima che si concludesse l’anno travolto dall’euforia dell’Esposizione universale, tutte le cause connesse con l’Affaire vengono condonate da un’amnistia generale. Ma con indomabile acribia Mathieu va avanti in nome della verità, finchè il ministro della guerra André richiede la revisione del processo al ministro della giustizia Vallé. Coinvolti i matematici più illustri, per smontare le tesi insensate di Bertillon (l’ottuso neografologo che nel primo processo aveva sostenuto fosse di Dreyfus la scrittura del bordereau), viene finalmente confutata la prova di colpevolezza nei confronti dell’imputato. Viene annullato il giudizio del consiglio di guerra di Rennes e il presidente della Corte dichiara che un nuovo processo non sarà necessario.
“Alfred Dreyfus era innocente. Il caso era chiuso. Di quel 1906 erano le dodici del 12 luglio. L’Affaire aveva attraversato dodici governi. Ed era durato dodici anni “..
Ho tralasciato moltissimo, di questa miniera che è il libro di Trellini. Particolari piccanti, aneddoti simpatici, schemi e tavole illustrative, la nascita del Tour de France, il docudrama L’Affaire Dreyfus di Méliès, prima serie cinematografica della storia, e i vari epiloghi che riguardano personaggi e memorie dei contemporanei. Cito solo l’opinione di Julien Benda, scelta in esergo dall’autore: “Ho spesso pensato che l’Affaire sia stato una fortuna per gli uomini della mia generazione. Raramente, sulla soglia della vita, ci sono offerte simili occasioni di compiere scelte nette, tra due fondamenti etici, e di venire a sapere immediatamente chi siamo”. Questo mi ha fatto pensare al momento della scelta, da parte degli italiani che vollero combattere il nazifascismo, diventando partigiani.
Lo so, i libri andrebbero letti e non raccontati, ma non ho resistito a ‘condensare’ le 1371 pagine di questo avvincente libro che si è intrecciato con la mia estate. Capitoletti brevi, che scorrono via a meraviglia. Mi sento grata a Trellini per avermi fatto conoscere la grandezza morale dei molti ‘dreyfusardi’, uomini che hanno creduto nella Giustizia.
Su tutti, l’eroe di questo romanzo, Mathieu Dreyfus, che abbandonò famiglia, paese, affari per trovare le prove dell’innocenza del fratello e che sfidò persino l’impossibile, sempre nel rispetto della legalità, finché riuscì nel suo intento.
Nonostante la trama intricata delle vicende spicca la chiarezza di come l’Affaire abbia definito un ‘prima’ e un ‘dopo’ nel mondo.