L'affaire Dreyfus (terza parte)
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L'affaire Dreyfus (terza parte)

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L'affaire Dreyfus (terza parte)

Eravamo rimasti, nella seconda parte del mio racconto di lettura, all’evidente constatazione che la scrittura del bordereau non era quella del capitano Dreyfus, bensì apparteneva a un certo Esterházy.

Esterházychi era costui?

Originario di una famiglia orientale, trapiantata in Francia nei primi anni del 1700, rimasto orfano a 18 anni, abbandona ben presto gli studi e si dà alla bella vita sperperando l’eredità accumulata dai progenitori attraverso matrimoni con donne facoltose.

Tenta invano di scalare la carriera militare e viene arruolato durante la guerra contro i prussiani solo per scarsità di ufficiali. Dopo la pace resta nell’esercito col grado di capitano, ma nel 1871 la Commissione di revisione dei gradi lo retrocede a sottotenente. Essendo in grado di capire il tedesco, entra nel controspionaggio e circuisce una nostra vecchia conoscenza: il rozzo e ignorante maggiore Henry. Entra così nel bureau, dove compila il famoso bordereau e dove mostra comportamenti tali da essere un predestinato al tradimento. Fra truffe, estorsioni, fallimento del matrimonio con una ricca moglie, gli rimane, come alternativa alla perenne frustrazione, quella di tradire la Francia.

La strategia degli ‘antidreyfusardi, così li appella Trellini, ha tre punti fermi:

-confermare la colpevolezza di Dreyfus

-impedire la revisione del processo

-salvare Esterházy.

Fra documenti falsificati e finte dame velate, un intreccio di trame finalizzate a garantire il terzo punto, la scena si sposta su Zola, ospite del vice presidente del senato Scheurer-Kestner. Zola è colpito dal succulento stufato di lepre preparato dalla cuoca di casa; ma ancor più viene colpito dal racconto del senatore che, assieme all’avvocato Leblois, cerca di organizzare una strategia per arrivare alla revisione del processo e per creare un movimento d’opinione contro Esterházy. E’ il momento della folgorazione per lo scrittore!

Fu la vicenda stessa che andò a incontrare Zola. L’Affaire era pronto per essere raccontato. Il melodramma gli apparve completo e lui ne vide finalmente i personaggi. C’erano sempre un innocente in un’isola sperduta e un colpevole per le strade di Parigi. Ma in quel momento se ne era aggiunto un altro, il detentore della verità, silenzioso e attivo: Scheurer-Kestner. Fu questo personaggio a farlo entrare nel dramma. Fu questo quadro a fargli percepire la bellezza. E la bellezza, inevitabilmente lo risucchiò.

Zola decide di usare una tattica da feuilleton: occupare il pubblico con brevi racconti, giorno per giorno, dosando le rivelazioni per tener alta l’attenzione.

A questo drappello di convinti sostenitori di Dreyfus dobbiamo aggiungere Lucien Herr, uno straordinario intellettuale di origine alsaziana che sceglie per vocazione di fare il bibliotecario dell’École normale supérieure, divenendo in beve il punto di riferimento di un esercito di ragazzi cresciuti sui libri e sulle idee. Herr non ha dubbi sull’innocenza del capitano; non condiziona i suoi allievi, ma non fatica a renderli tutti ‘dreyfusardi’. Si mettono in moto per un progetto di petizione al parlamento, che vuolemantenere le garanzie legali dei cittadini contro ogni arbitrarietà” e raccolgono cinquantacinque nomi ‘di peso’ per la riapertura del processo. I suoi ragazzi non si limitano a chiedere una firma, ma spiegano, dimostrano e persuadono. Parigi si ricopre di focolai che strappano ai vecchi poteri brandelli di verità. A una banda di cinque giovani, fra i quali i fratelli Marcel e Robert Proust, viene affidata la fase esecutiva della petizione: quei 55 nomi raggiungono così il salotto di Madame Straus, che diventa il centro nevralgico della petizione.

Proust, ebreo da parte di madre, vive la persecuzione di Dreyfus come un attacco all’adorata genitrice e per la prima volta entra in un dilemma etico, “alla ricerca della verità perduta. Si sente responsabile; combattendo attivamente, nel nome della veri, conquista la firma di Anatole France, un mostro sacro che in precedenza aveva attaccato Zola, e che diventa ora il capolista della petizione.

Trellini ci presenta a questo punto nuovi personaggi che si attivano per dimostrare la colpevolezza di Esterházy:

- il giornalista italiano Enrico Casella, conte di Collalto, che ottiene dall’addetto militare tedesco a Parigi Schwartzkoppen una dichiarazione dell’innocenza di Dreyfus e della colpevolezza di Esterházy;

- il direttore del giornale Le Siècle, Yves Guyot, che fa un’analisi spietata dell’accumulo di errori nell’atto d’accusa a Dreyfus;

- il chimico Pierre-Émile Duclaux, direttore dell’Istituto Pasteur, che con metodo scientifico punta il dito sugli imbrogli del caso giudiziario. E’ il primo impegno pubblico di uno scienziato in un dibattito morale.

- Pierre-Victor Stock, un editore, educato da giovane con un fondo di antisemitismo, ma di mente aperta. Capisce prima di altri che gli attacchi a Dreyfus come giocatore d’azzardo non potevano coincidere con lo stile dell’uomo, neppure mai stato membro di un Circolo di gioco, dove invece erano iscritti due soci, con lui non imparentati, di cognome Dreyfus. Stock diviene uno dei più ardenti ‘dreyfusardi’ e pubblica 129 titoli sull’argomento.

La mattina del 10 gennaio 1898 si apre il processo a Esterházy. Ancora una volta a porte chiuse. Il consiglio di guerra si ritira per deliberare e dopo soli tre minuti, sotto gli occhi del pubblico, riammesso per il verdetto, assolve Esterházy con formula piena.

Questi era ormai divenuto un simbolo, l’eroe dell’orgoglio nazionalista, e la sua immagine non poteva essere scalfita neppure da certe dichiarazioni, scritte a una cugina, e rese pubbliche (“Non farei del male neppure a un cane ma ucciderei con piacere centomila francesi”).

Sembrò la fine. Invece accadde qualcosa di assolutamente inaspettato. Un colpo di scena che avrebbe cambiato tutto. Per sempre.

Zola sta scrivendo.. La storia di Dreyfus è di per sé un capolavoro che chiede solo di essere narrato. Cominciano ad arrivargli lettere su lettere: cinquemila, duecentottanta di queste scritte da donne. Man mano che Zola si impegna, diffondendo opuscoli sull’Affaire, la faccenda entra nelle vene di chiunque. Le francesi, non solo quelle salottiere come Geneviève Straus, ma anche donne comuni, prendono posizione incitandolo, ammirandolo, ringraziandolo. Solo diciannove di loro lo condannano.

Da quella spinta Zola trae forza. “E con forza gridò il suo atto d’accusa. Le donne, quel sesso a torto considerato debole, avevano consegnato a un uomo la certezza della sua invincibilità. Lavorò per un giorno e due notti. Quando alzò la testa Zola aveva steso quarantaquattro paragrafi su 40 fogli numerati nell’angolo in alto a destra. Lui stesso li contrassegnò da 1 a 39 (perché nella fretta aveva nominato due volte la pagina 23).

La mattina del 12 gennaio va dal suo primo editore, all’Aurore. Legge ad alta voce le sue pagine, davanti all’intera redazione ammutolita. Quel testo fitto e furioso ha però un titolo ‘sbagliato’ (“Lettera al signor Félix Faure, presidente della repubblica”). Il caporedattore Clemenceau (in futuro primo ministro) trova quello giusto: J’accuse, che poi nella composizione tipografica, con due maiuscole iniziali e tre puntini di sospensione, seguiti da un punto esclamativo, rafforza l’aspetto drammatico:

J’Accuse…!

Clemenceau ha il merito di aver accettato l’articolo, aver scelto il titolo e aver aumentato la tiratura del suo giornale che ha appena tre mesi di vita, stampandone trecentomila copie. La mattina dopo, sui marciapiedi di tutta Parigi si sente ovunque “J’Accuse!

La fama planetaria dello scrittore dà una nuova dimensione all’Affaire. Anche l’America si appassiona al dramma grazie soprattutto a Mark Twain. A lui risponde dall’altra parte del pianeta Lev Nikolaèvič Tolstoj.

Il giorno dopo L’Aurore chiede una revisione del processo Dreyfus del 1894, con un elenco di 104 firme che diventeranno 1482. “La petizione segnò l’atto di nascita di una nuova categoria sociale e accese un dibattito politico sulla funzione dei letterati nella società. Lautorevolezza del proprio ruolo per la prima volta a livello collettivo legittimava un giudizio. Avallava l’intervento, e quindi l’impegno, dell’uomo di cultura sulle questioni sociali che dividevano l’opinione pubblica.” Nasce la categoria degli intellettuali.

Un articolo di giornale spacca la nazione in due. E quel cenacolo di artisti che all’inizio del mio racconto ammiravano assieme la chiusura delle ninfee nel giardino di Monet, si divide irreparabilmente. Monet e Pissarro da un lato, Degas e Renoir dalla parte opposta. Cézanne, non solo condanna Pissarro, di cui era allievo e amico da trentacinque anni, ma sconfessa l’amico di sempre, Zola, recidendo l’ultima delle sue radici.

Come una inarrestabile tromba d’aria, l’Affaire aveva travolto indiscriminatamente gli affetti più reconditi di quel gruppo. E gli impressionisti non esposero più insieme.

Alla prossima puntata…per chi avrà la pazienza di seguire il resto.