L’affaire (prima parte)
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- Notizia pubblicata il 7 luglio 2023
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- Scritto da Liana Isipato | Letture
La curiosità; la prospettiva di un lungo periodo di soggiorno in montagna con limitate capacità di movimento; un prezioso consiglio di lettura sono i motivi che mi hanno spinta a tuffarmi nelle 1371 pagine del romanzo fiume “L’affaire.Tutti gli uomini del caso Dreyfus” di Piero Trellini (Bompiani, collana ‘Munizioni’ diretta da Roberto Saviano).
Per parlarvi di un libro così corposo ho pensato di procedere questa volta in più puntate. Arrivata a pag. 114 posso già scrivere qualcosa.
Il prologo si apre su un Monet infiammato dal desiderio, davanti alle prime ninfee colorate coltivabili in Europa. Siamo a Parigi, nell’Esposizione del 1889, e mentre tutti gli sguardi vanno a sbattere sulla neonata Tour Eiffel, le iridi dell’artista si posano davanti ai fiori.
Nel 1874 il suo quadro “Impressione, levar del sole” aveva dato il nome alla nuova corrente artistica di cui Monet faceva parte. Lo incoraggiava con fervore un critico e collezionista d’arte, Ernest Hoschedé, che gli fece da mercante finché il suo eccentrico stile di vita lo portò in rovina. Monet, che aveva due figli ed era sposato a una moglie destinata a morte imminente per cancro, lo accolse in casa assieme alla consorte Alice e ai loro sei figli. Iniziò così l’idillio fra Alice e Monet, presto sfociato in matrimonio dopo la morte dei rispettivi coniugi.
Monet vende bene i propri quadri e acquista una casa di campagna dove, con accanimento, pianta fiori di ogni tipo e acquista migliaia di bustine di semi. Riesce, nella parte paludosa in fondo alla proprietà, a creare uno stagno pescando con una pompa dal fiume vicino, superando, grazie all’appoggio di un amico che conta, l’avversità del consiglio comunale e di tutto il paese. Nel 1894 nasce il giardino d’acqua che finirà poi sulle pareti di innumerevoli musei quando Monet, oltre che ammirarle, dipingerà le ninfee.
Dal giardino la scena si sposta alla tavola, che vede Monet -dotato di appetito famelico- davanti a una bouillabaisse, seguita da varie portate inframmezzate dalla “pausa normanna” con funzione di “sgropìn” (dialetto veneto): un bicchierino di Calvados.
Con lui, gli amici di una vita: lo scrittore Gustave Geffroy, primo storico degli impressionisti, lo scultore Rodin, il romanziere Mirabeau, il pittore Cézanne, il direttore del giornale La Justice, Clemenceau. Al tramonto, il gruppo si reca allo stagno per osservare la chiusura delle ninfee. A soli 80 chilometri da lì L’Affaire è già compiuto.
Presto tutti loro sarebbero stati parte di quella vicenda, e tutti costretti a una scelta.
Mi sono dilungata a descrivere questa parte introduttiva perché l’architettura del romanzo è proprio questa: mette a fuoco delle situazioni, che siano storiche, incentrate su un personaggio o sull’embrione di una corrente di pensiero, e poi…tutto si tiene e mattone su mattone cresce la casa. Il vero obiettivo è raccontare lo spaccato della società del tempo. Con la sua lingua asciutta, essenziale ma fresca e sorprendente, coinvolgente, Trellini ci porta ora nel cuore della vicenda partendo da una Francia fin de siècle che ha perso la guerra (1870, sconfitta di Sedan) e ha bisogno di nuove armi, più efficaci.
Il gioco è semplice: bisogna tener nascosti i propri segreti militari e tentare di accaparrarsi quelli del nemico. In questa rete di spie e controspie, una signora addetta alle pulizie dell’ambasciata tedesca raccoglie da un cestino i pezzi di un biglietto stracciato (un bordereau), che finiranno nelle mani del Maggiore Henry, addetto operativo del controspionaggio francese. Zelante, ma di mente rozza e ristretta, capisce che quel bordereau gli sta offrendo un’occasione.
Da Henry, su per la scala gerarchica, il documento finisce sul tavolo del ministro della guerra Mercier, inviso ai francesi che lo giudicano “il peggior ministro di sempre”. Quel pezzo di carta può essere la sua salvezza…ma il colpevole dev’essere individuato in tempi brevi e con prove schiaccianti. Il contenuto del documento indirizza verso un ufficiale, preferibilmente d’artiglieria, e col titolo di stagiaire (giovane che prima di avere l’assegnazione definitiva fa pratica ruotando tra i vari uffici). Il cerchio dei sospetti si riduce a 12 persone e tra queste a una. Senza nessuna prova, e con una perizia grafologica eseguita da un profano, quel bordereau che già il 6 di un ignaro ottobre aveva trovato un nome venne attribuito ufficialmente al sospettato: il capitano d’artiglieria dell’esercito francese Alfred Dreyfus. Era alsaziano. Era ebreo. Era perfetto.
La parte quarta, intitolata Drayfusiana, ci porta a conoscere la saga della famiglia, anche attraverso il disegno dell’albero genealogico, a partire dall’antenato Abraham Israel John Dreyfüss, insediatosi con altre cinquantatré famiglie nella pianura meridionale dell’Alsazia. Dopo la sconfitta di Sedan l’Alsazia e la Lorena vengono cedute alla Germania. Per l’undicenne Alfred si rompe l’incanto e l’invasione delle truppe prussiane nella sua città, provocando il primo vero dolore, cambieranno il corso della sua vita. Nasce
nel piccolo Alfred l’idea di diventare ufficiale dell’esercito e vestire la divisa per difendere la sua Francia, dove la famiglia si era trasferita.
Ammesso all’École polytechnique, l’istituto che lanciava i giovani nella carriera militare, si mette in luce grazie all’impegno e alle capacità. Nel 1889 il compagno di classe Paul Hadamard gli presenta la cugina Lucie, figlia di un commerciante di diamanti. L’anno dopo le nozze e, a seguire nei due anni successivi, la nascita dei figli Pierre e Jeanne.
Dreyfus era un predestinato al sospetto. Aveva trentacinque anni, una moglie, due bambini, una casa, una rendita e una carriera. Un uomo invidiato ma irreprensibile, silenzioso, concentrato sul lavoro.⌠…⌡Era pervaso da uno schiacciante senso di giustizia, l’unica arma, insieme alla volontà, alla quale si aggrappò per trovare la sua strada.
Gli elementi a discolpa di Dreyfus non vengono considerati e prevale il desiderio ambizioso, nella scala dei personaggi coinvolti, di dare al proprio capo il nome del colpevole. L’ossessione per le spie tedesche e per gli ebrei trova in lui il bersaglio perfetto.
L’arresto immediato e immotivato lascia annichiliti l’ufficiale e la moglie alla quale viene taciuta l’imputazione. Sulla Francia si sta spegnendo il faro della democrazia e le notti del secolo si fanno oscure. Gli ebrei erano oggetto di persecuzioni e calunnie fin dal Medioevo, ma in questi anni l’antisemitismo riprende vigore, basandosi anche sulle tesi prive di fondamento ma esposte con toni pseudoscientifici da Gorges Vacher de Lapouge, che fa ricorso ai numeri e alla misurazione dei crani. Il destino del mondo sarebbe dipeso quindi solo dalla vittoria degli ariani sui brachicefali, razza, avida e inferiore, contraddistinta da un cranio più largo che lungo: gli ebrei, appunto. A sostenere il crescente antisemitismo intervengono i nuovi orientamenti della Chiesa cattolica, col nuovo papa, Leone XIII. La campagna antisemita della Civiltà Cattolica arriva a considerare gli ebrei non più uniti da una religione, ma appartenenti a una vera e propria razza. In Francia questo nuovo orientamento della Chiesa avrebbe segnato drammaticamente anche la vicenda del capitano Dreyfus. Prima di arrivare alla parte settima Trellini ci porta allo spostamento di una notevole fetta di ebrei da Oriente a Occidente. Tra questi, la famiglia Rotschild intuisce l’importanza di treni e ferrovie, e investe nel settore, incrociando così l’ingegnere Bontoux , prima collaboratore e poi loro antagonista che, cercando una rivalsa, fonda l’Union Générale, una banca d’affari cattolica avversa ai Rotschild. Fra gli azionisti, molti sacerdoti e la stessa Santa Sede. Nello stesso pacchetto inserisce il Journal de Rome, un quotidiano che agirà sempre al servizio degli interessi del papa. Cerca un accordo con Ernesto Emanuele Oblieght, che tra i primi dà spazio alla pubblicità nei giornali, e che in breve tempo possiederà la fetta più appetibile dell’editoria italiana. Cresce una bolla speculativa, si scopre che l’Union Générale ha falsificato i bilanci, e l’accordo Bontoux-Oblieght fallirà. Nel 1891 il fallimento sarà imbottigliato dentro L’Argent di Émile Zola.
Ma anziché prendersela con il responsabile, le vittime delle speculazioni di Bontoux si dissero rovinate dalla medesima finanza ebraica che la banca cristiana aveva cercato di contrastare. L’idea di una cospirazione finanziaria ebraica, governata da fantasmi cosmopoliti e antinazionali, penetrò così in profondità da diffondere quella stessa forma di antisemitismo - la parola nacque nel 1879 – di marca populista e anticapitalista.
In quegli anni, lo stesso progetto per la costruzione del canale di Panama fallì e la compagnia (una società anonima) fu messa in liquidazione il 4 febbraio 1889, provocando la rovina di ottantacinquemila azionisti. La compagnia era stata fondata da reazionari antisemiti, nessun ebreo era stato coinvolto nei progetti, nel lavoro e nel fallimento dell’impresa. In un secondo momento erano intervenuti finanziatori di diversa estrazione, alcuni dei quali ebrei. Bastò questo.
Un giornalista, Drumont, rivelò lo scandalo nel suo quotidiano. Sarà lui a cogliere nell’aria il malcontento finanziario che si respirava, e a rendere quell’aria un’arma micidiale contro un nemico immaginario da lui stesso inventato. Il nemico, ovviamente, era Dreifus.
Questo, il clima. Arrivederci alla prossima puntata (non spaventatevi: sarà meno corposa)