Il calore della compagnia: gezelligheid
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- Quante emozioni
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- Notizia pubblicata il 21 febbraio 2024
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- Scritto da Daniele Franzoso
La sensazione che riempie l’aria in situazioni come questa è chiamata gezelligheid. E’ un termine usato in Olanda per descrivere una condizione fisica confortevole vissuta in buona compagnia (non è possibile sperimentarla standosene da soli). Con il tempo il gezelligheid è diventato simbolo dell’ospitalità olandese, dal momento che costituisce un’importate dimensione sociale.
Nella lingua italiana non esiste un corrispettivo esatto, forse perché da noi gli inverni non sono rigidi come al nord, dove invece esistono moltissimi termini per indicare esperienze come questa. Gli inglesi usano il termine cosy per indicare una situazione che dona conforto e sicurezza, forse derivante dal gaelico cosag, ovvero un piccolo rifugio; similmente i finlandesi hanno la parola kodikas. In Germania si parla di gemutlichkeit quando si indica una sensazione di cordialità e in Danimarca si vive secondo l’hygge, ovvero il godersi le cose belle della vita in compagnia.
Forse è questo genere di esperienze che aveva in mente lo scrittore inglese J. R. R. Tolkien quando descrisse l’aspetto della casa hobbit: “Aveva una porta perfettamente rotonda come un oblò, dipinta di verde, con un lucido pomello d’ottone proprio nel mezzo. La porta si apriva su un ingresso a forma di tubo, simile ad un tunnel; un tunnel molto confortevole, con pareti rivestite di legno e pavimento di piastrelle ricoperto di tappeti, provvisto di sedie lucidate e di un gran numero di attaccapanni per cappelli e cappotti: lo hobbit amava ricevere visite.”
Insomma si ha a che fare con una situazione di conforto e accoglienza che richiama forse qualche reminescenza uterina, con la differenza che la solitudine del feto è scambiata con la compagnia delle persone amate. Gezelligheid è quindi una situazione sociale, felice, durante la quale i geli della vita vengono lasciati fuori dalla porta.
Letture consigliate:
Lo Hobbit annotato - J. R. R. Tolkien a cura di Douglas Anderson (cap. 1)