Mehameha e apparizioni nella foresta
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- Quante emozioni
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- Notizia pubblicata il 13 marzo 2024
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- Scritto da Daniele Franzoso
Lo psichiatra e antropologo americano Robert Levy trascorse buona parte degli anni sessanta nella Polinesia francese a condurre degli studi etnografici sulle popolazioni locali. Durante questo periodo ebbe modo di confrontarsi con un nativo tahitiano di nome Tano che gli spiegò l’importante differenza fra ao, ovvero il giorno, pō, cioè la notte. Non si tratta di una semplice dicotomia fra luce e oscurità, ma fra la terra degli uomini e il regno degli spiriti.
Per gli abitanti di Tahiti il tramonto segna il passaggio in una dimensione sovrannaturale, colma di misteri e visioni oniriche.
Provate a mettervi nei panni di un abitante del luogo. E' notte e una coltre di nebbia ricopre la vegetazione mentre voi vi affannate sul sentiero verso casa. Ad un certo punto una sensazione minacciosa vi costringe a fermarvi e a rimanere in ascolto. Non c'è un alito di vento, eppure qualcosa si muove davanti a voi. Sotto i raggi della luna che filtrano attraverso il fogliame vedete una lingua di nebbia avvolgersi in una spirale. Proprio lì in quella valle dove anni fa è morta una donna in cinta, colpita da un male caduco, improvviso. Siete ben consapevoli che quella che prosegue dinanzi a voi è l'unica via per tornare al villaggio, che vorreste raggiungere il prima possibile a grandi falcate, ma c'è qualcosa che non va nel vostro corpo: fate fatica a muovervi, avete la pelle d'oca. La testa vi fa male e avete l'impressione che si stia gonfiando, come se qualcuno ci stesse soffiando dentro dell'aria.
C'è forse uno spirito qui assieme a me? Non è semplice paura, non è come quando la settimana scorsa avete scovato un serpente velenoso nel granaio. Qualcosa nell’ambiente circostante è cambiato. Vi appoggiate con la mano ad un albero ma la sua corteccia è umida come la pelle di una creatura che suda. Spaventati vi ritraete, inciampando per terra. Vi guardate i piedi ma non vedete nulla su cui potreste essere caduti. Eppure siete certi di avere sentito qualcosa stringervi la caviglia.
Improvvisamente scatta il sistema di combattimento o fuga. Terrorizzati, scattate verso il villaggio e in poche manciate di secondi che sembrano durare un'eternità raggiungete la vostra capanna. Nessuna mano vi afferra, nessuna presenza fantasmatica tenta di ghermirvi. Siete finalmente al sicuro.
Tano spiegò a Levy l'importante distinzione fra due tipi di paura. La prima, chiamata ri'ari'a, è la sensazione di pericolo che ci afferra lo stomaco e che fa battere il cuore a mille; è la normale reazione che avreste trovandovi davanti ad un grosso cane feroce. La seconda, il mehameha, è l'inquietudine che si prova quando si avverte la presenta di un'entità sovrannaturale. Ad esempio state camminando a notte fonda quando la temperatura si abbassa all'improvviso e magari avete l'impressione che qualcosa vi abbia sfiorato la pelle oppure udite un sussurro distante.
Ri'ari'a e mehameha sono simili dal momento che nascono entrambe nel corpo, ma se la prima è la paura di morire, il mehameha è la paura di avere raggiunto una zona liminale tra il mondo umano e quello degli spiriti, e che non siate la sola entità ad averla attraversata in quel momento.
Mehameha sorge quando si è da soli, per questo motivo quando si tratta di attraversare certi posti dalla brutta fama gli abitanti di tahiti si fanno accompagnare da un taure'are'a, un giovane sulla soglia dell'età adulta. Se c’è un’altra persona infatti questo senso di inquietudine non può nascere.
Forse è anche per questo che, secondo quanto riportato da Levy, gli abitanti di Tahiti hanno l'abitudine di dormire in camerate da decine di letti, usanza che permette loro di scongiurare mo'emo'e, ovvero un miscuglio fra la solitudine e il senso di minaccia. Trovarsi da soli può generare angoscia, ma è peggio quando si ha la sensazione di non esserlo affatto.
Per approfondire:
Tahitians: mind and experience in the society islands - Robert Levy