Viaggiando in cerca del wanderlust
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- Quante emozioni
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- Notizia pubblicata il 7 febbraio 2024
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- Scritto da Daniele Franzoso
Questo articolo è il primo passo di un cammino ricco di emozioni, nel senso letterale del termine, dal momento che vorrei esplorare in questa nuova rubrica alcuni dei sentimenti umani più diffusi ma non per questo conosciuti. Ogni mercoledì scopriremo esperienze che non trovano parole nella nostra lingua ed emozioni che non abbiamo mai provato; e che forse non proveremo mai.
Questo viaggio inizia così:
“Quel giorno, non so proprio perché decisi di andare a correre un po’, perciò corsi fino alla fine della strada, e una volta lì pensai di correre fino alla fine della città, pensai di correre attraverso la contea di Greenbow, poi mi dissi, visto che sono arrivato fino a qui tanto vale correre attraverso il bellissimo stato dell'Alabama, e cosi feci. Corsi fino all' oceano e, una volta lì mi dissi, visto che sono arrivato fino a qui tanto vale girarmi e continuare a correre”
E’ così che Forrest Gump, interpretato da Tom Hanks nell’omonimo film, racconta la sua improvvisa urgenza di viaggiare quando ad un certo punto della sua vita, colto da questo impellente bisogno, intraprende un viaggio a piedi totalmente improvvisato.
Questa irrefrenabile necessità di iniziare a camminare per andare ovunque è chiamata wanderlust, derivante dal tedesco “wandern” che significa girovagare e “lust” cioè desiderio.
E chiaro fin da subito che non c’è una meta in questo girovagare; solitamente quello che importa è il viaggio in sé o piuttosto l’allontanamento da un luogo.
Robert Park vede nella Wanderlust un rifiuto delle convenzioni sociali. Si pensi alla generazione ribelle di Jack Kerouac, celebre autore del romanzo “Sulla strada” che è poi il manifesto della beat generation . Possiamo dire che la sua vita su all’insegna del wanderlust: “oltre le strade sfavillanti c’era il buio, e oltre il buio il West. Dovevo andare.”
Per Alain Montandon è una questione di crescita artistica: «al richiamo delle persone lontane, di ciò che è al di là del presente e del mondo reale, e questo vagabondaggio estetico prende la forma di una fuga dal mondo nella speranza di un risarcimento». Un risarcimento tutt’altro che materiale, dato che la materialità viene rifuggita, per non dire abbandonata, lasciata indietro. Del resto, in un viaggio ci si porta solo l’indispensabile.
Nella Alcolisti Anonimi americana si usa il termine pulling a geographic in riferimento alla tendenza diffusa in quell’ambito a cambiare luogo nella speranza di lasciarsi indietro le proprie cattive abitudini, dove la partenza e la presa di distanza fisica da un problema è più importante di un eventuale arrivo.
Il viaggio è un archetipo che ha sempre fatto parte della vita dell’uomo. Basti pensare che in alcune culture un viaggio nella natura segna il passaggio nella vita adulta. Nel girovagare quindi si accede ad una dimensione sociale ed esistenziale nuova. Non tanto una destinazione, ma una tappa o per meglio dire una soglia.
Un altro esempio è il mito dei cavalieri erranti, che durante il medioevo viaggiavano in cerca di avventure in cui misurarsi e attraverso le quali dimostrare il proprio valore, al quale si sommava la ricerca della fama come forma di immortalità.
Il viaggio, spirituale o geografico, trasforma e realizza l’uomo. Segna l’urgenza di partire, di essere in un altro luogo o un’altra persona.
Letture consigliate:
Jack Kerouac - Sulla strada
Alain Montandon - La passeggiata. Ritualità e divagazioni
Bassham e Bronsom - Lo hobbit e la filosofia. Qualche spunto per non smarrire la via, lo stregone e i nani