fbevnts Piccola storia di un condannato a morte, di Francesco Casoni
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Piccola storia di un condannato a morte

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Piccola storia di un condannato a morte

“Dicci dove cazzo si è nascosto il Conte!”

La stanza era buia e spoglia. L’unica finestra era accuratamente tappata da un pezzo di cartone. Il fatto che fosse una bocca di lupo suggeriva che si trovassero in un seminterrato. C’era quella puzza di muffa che impregna solitamente le cantine.

Ulisse si stiracchiò sulla sedia, per quanto gli riusciva di fare, avendo mani e piedi legati. Sfoggiò il suo migliore sorriso ai due energumeni che gli stavano davanti e non rispose. I due - il volto travisato da un passamontagna - parevano costruiti con lo stampo: anfibi scuri, pantaloni militari, maglia nera, bicipiti grossi come il suo girovita, pettorali in bella vista e una grossa panza da birra. Uguali sputati, ma del resto i pezzi di merda si assomigliano un po’ a tutte le latitudini, pensò Ulisse.

Parlavano con accento del Sud Italia, ma non avrebbe saputo indicare una regione precisa, sempre che la cosa fosse rilevante.

Il panzone numero uno gli mollò un ceffone. Ulisse sentì la seconda vertebra cervicale fare cric per il rinculo, ma incassò il colpo imperturbabile. Ne aveva presi di peggio da sua madre. Il panzone numero due esplose. Afferrò una pistola dal tavolaccio in fondo alla stanza e con il braccio teso gliela puntò alla fronte.

“Adesso ci dici dov’è il Conte o ti ammazzo!”, gridò.

“Va bene, grazie”, rispose Ulisse, sorridendo.

Calò il silenzio.

“Grazie di cosa?”, balbettò panzone numero uno, spiazzato.

“Grazie di ammazzarmi - replicò serafico l’altro, senza mostrarsi minimamente turbato dalla minaccia - Vi confesso che lo avrei voluto fare io almeno tre o quattro volte, ma madre natura mi ha fatto vigliacco, oltre che inetto”.

Panzone numero due balbetto qualcosa che non si capì. Sillabe sfuse, senza un evidente nesso logico. Sotto il passamontagna, probabilmente era diventato paonazzo.

“Adesso conto fino a tre e ti ammazzo!”, strepitò. Non aveva proprio capito.

“E io ti ringrazio di cuore - ribadì Ulisse - Mi togli un peso che non immagini. Non hai idea di che fatica sia stare al mondo, quando tutto quello che ti circonda ti sembra completamente sballato e ingiusto. Vi capita mai di sentirvi fuori posto? Ecco, io mi sento fuori posto sul pianeta Terra”.

Mentre Ulisse monologava con l’animo leggero, i due panzoni si scambiarono un’occhiata interrogativa. Le loro domande interiori rimasero senza risposta. Panzone uno ebbe uno scatto. Strappò la pistola di mano al socio e la puntò con il braccio vibrante alla tempia di Ulisse.

“Tre!”, contò.

Ulisse chiuse gli occhi.

“Due!”

Ulisse respirò profondamente.

“Uno!”

Ulisse riaprì gli occhi, lo guardò dritto in volto e sorrise.

“Ti ammazzo! Giuro che ti ammazzo!”, gridò isterico il panzone, a dieci centimetri dal suo viso. L’alito gli puzzava di alcol e fumo.

“E fallo, perdio! - esclamò spazientito Ulisse - E’un quarto d’ora che la meni. Ti ho ringraziato, no? Cos’altro devo fare, un balletto? Scodinzolare come il cane?”

Panzone due si sentì improvvisamente furbo. Spostò di lato il collega, si avvicinò a non più di sette centimetri dal naso di Ulisse - anche a lui puzzava il fiato - e sibilò: “Piantala di fare l’idiota o ti torturiamo”.

Ulisse sbuffò con l’aria di compatirli.

“Capirai”.

Panzone uno sentì che stava per dare di matto. Riprese a espellere monosillabi a casaccio.

Ma Ulisse pazientemente spiegò: “Passo otto ore al giorno, cinque giorni su sette, in mezzo a gente che pensa, dice e fa cose di cui non me ne sbatte una sega: ti piace la mia macchina nuova, l’hai vista la nuova serie su Netflix, sai che ho comprato la lavastoviglie smart, sai che ho organizzato il compleanno del mio cazzo di figlio con il cazzo di mago e il cazzo di gonfiabile e i cazzo di cappellini con i nomi sopra. Guarda, dopo che hai digerito quaranta ore di queste stronzate ogni settimana per dodici anni, ti possono pure strappare le unghie con le tenaglie, che almeno è un diversivo”.

Panzone uno ebbe un crollo interiore. Panzone due buttò la pistola sul tavolo. Tirò fuori un pacchetto di sigarette, lo porse al collega.

“Usciamo?”

Uscirono, prima di ammazzarlo per davvero. Ulisse ci rimase un po’ male.