La storia di Hasib e la forza della motivazione
Sottotitolo non presente
Leggi l'articolo
- SCRITTURE
- |
- Notizia pubblicata il 14 luglio 2023
- |
- Scritto da Federica Bertaggia | La fermata sbagliata
Caro diario,
da quando ho messo a fuoco che apprendimento e motivazione viaggiano sullo stesso binario, trovo utile raccontare delle storie che hanno a che fare con la determinazione e l’impegno. Anche se le ragazze e i ragazzi delle medie sono giovani e sembrano poco interessati a ragionamenti così astratti, spero che la forza intrinseca a questi racconti serva da propulsore e da esempio per incoraggiarli a non avere mai paura della fatica.
Una di queste storie è quella di Hasib, un ragazzo originario del Bangladesh che oggi ha circa 30 anni, la cui esistenza ad un certo punto ha incontrato la mia. Volendo, sulla vita di Hasib, che poco più che bambino ha salutato il suo paese, i suoi genitori e i suoi fratelli per andare a lavorare in Libia, si potrebbe scrivere un libro. Questa parte della storia sarebbe solo l’antefatto perché ciò che gli è successo da quando ha messo piede in Italia, dopo che il sogno di diventare un bravo imbianchino a Tripoli si è dissolto nei subbugli della “primavera araba”, penso sia veramente valevole di attenzione.
Hasib, come tanti, è stato costretto a scappare. Con altri connazionali è approdato a Lampedusa e dall’isola è stato trasferito a Taranto. Era il 2011 e i Comuni di tutta Italia venivano invitati dai Prefetti ad ospitare i migranti in quanto i centri di accoglienza erano al collasso.
È stato così che l’ho conosciuto. È arrivato con altri quattro ragazzi bengalesi nel paese dove vivo. Lui parlava un po' di inglese, gli altri solo un dialetto arabo. Come tantissime altre persone, anch’io mi sono resa utile. “Can I have an italian grammar book, please?”, mi ha chiesto. Ho cercato a casa e tutto ciò che poteva fare al caso gliel’ho portato. Mentre i suoi compagni si tenevano impegnati sfalciando l’erba e tinteggiando staccionate in silenzio – uno di loro si era creato un orto per coltivare i pomodori – Hasib studiava. Studiava indefesso. Si sentiva fortunato ad essere arrivato in una piccola comunità di campagna da dove avrebbe potuto ricalibrare la sua esistenza e di tutta questa nuova energia non voleva sprecarne nemmeno un grammo. Dopo quindici giorni circa, Hasib riusciva a formulare delle frasi semplici in italiano ma soprattutto a comprendere e a tradurre ai suoi compagni tutto ciò che le persone del paese dicevano a lui, rendendo lo scambio culturale vero e proficuo. È stato, questo, solo un assaggio dei prodigi che può fare la forza della motivazione.
Nei mesi successivi, supportato da alcune persone che per lui hanno fatto davvero la differenza, Hasib ha trovato vari lavori, ha conseguito il diploma di terza media e si è iscritto a scuola guida. Continuando a lavorare, si è ributtato sui libri. Ha studiato gli equilibri della cucina italiana, come preparare e comporre piatti bilanciati ed esteticamente piacevoli. Appena gli è stato consentito, è partito alla volta di un ristorante romagnolo dove ha trovato impiego come aiuto cuoco. Poteva dirsi sistemato ma, piuttosto che scemare, la determinazione aumentava.
Sono passati degli anni, una decina, Hasib non ha mai smesso di studiare e oggi è diventato chef di un ristorante in quella Romagna che, a metà maggio, è stata messa in ginocchio dall’alluvione. Come tutti, ha preso pala e stivali e si è rimboccato le maniche. Mentre spalava il fango ha ricevuto una telefonata dalla gente del “vecchio” paese dove aveva imparato l’italiano e dove la sua forza di volontà ha lasciato un segno. “Cosa ti serve?”, gli è stato chiesto. “Pasta, frutta e verdura per far da mangiare ai volontari che ripuliscono le strade e i negozi”, ha detto. L’indomani sono partiti furgoni carichi di generi alimentari. Come era già stato nel suo destino, ancora una volta Hasib ha fatto da intermediario tra la sua nuova gente di Romagna e la gente che lo aveva accolto tanti anni fa, facendosi nido di incubazione della sua grande forza di volontà.
Questa non è solo una storia di accoglienza, è anche una storia di determinazione e impegno come ce ne sono tantissime altre. La motivazione fa fare grandi cose, muove energia, sfronda il superfluo a favore del necessario e non fa sentire la fatica in ciò che si fa. Mi viene in mente una parola la cui etimologia mi stupisce ogni volta con la sua bellezza. La parola è “entusiasmo”, deriva dal greco en (dentro) theos (dio), significa “dentro di te c’è un dio”. I Greci pensavano che qualsiasi cosa venisse realizzata con grande motivazione, che fosse un’opera d’arte, una poesia o un discorso, non dipendesse solo dall’uomo ma anche dalla forza divina insita in ogni creatura mortale. Non è necessario, oggi, essere Fidia o Omero per fare le cose con entusiasmo - sui banchi di scuola per esempio - e tagliare traguardi che hanno il sapore di qualcosa di sacro, conquistato con fatica. Per questo ancora più entusiasmanti.
Fb