Recensione: "L'ultimo viaggio: storie di vita e fine vita" di Ferracuti e Marrozzini
Sottotitolo non presente: Recensione: "L'ultimo viaggio: storie di vita e fine vita" di Ferracuti e Marrozzini
Leggi l'articolo
- LETTURE
- |
- Pubblicazione: 19 nov 2025
- |
- Scritto da Liana Isipato
Mi piace lo stile di Angelo Ferracuti, il sapiente intreccio tra cronaca e vita personale. Possiamo leggere qualsiasi reportage giornalistico, qualunque dei suoi romanzi: dentro ci troviamo sempre, oltre a uno spaccato sociale, frammenti della sua vita, anche solo dei flash che ce lo rendono vicino. Un po’ come succede con lo scrittore d’oltralpe Emmanuel Carrère.
Il suo non è narcisismo, ma coerenza di uno scrittore che si è sempre misurato attivamente con la realtà sociale e politica della sua città e della sua terra, prima, per immergersi poi come un inquieto viaggiatore in mari grandi, Africa, Norvegia, Amazzonia.
Una scrittura asciutta, la sua, senza inutili fronzoli, a tratti poetica, ironica, e sempre lieve, anche quando è calata nel tunnel della morte, come nel bellissimo La metà del cielo in cui, con pudore, ci coinvolge nella malattia fatale dell’amata moglie Patrizia. E’ così anche in questo recente lavoro, L’ultimo viaggio-Storie di vita e fine vita, nato da anni di peregrinazioni, interviste, e completato dalle forti immagini fotografiche di Giovanni Marrozzini, che sempre rispettano con delicatezza la dignità del dolore.
L’ho comprato in settembre, appena uscito; l’ho sùbito letto intensamente in due pomeriggi, ma ho prorogato via via il momento di scriverne, con vari pretesti. In effetti L’ultimo viaggio è fatto di storie talmente potenti che fatichi ad affrontarle con parole tue; avevo bisogno di un distacco dall’emozione, per poterne parlare.
Il libro si apre con le foto in bianco e nero di Marrozzini, sull’hospice “La farfalla” di Montegranaro in provincia di Fermo, e si chiude con le foto dedicate a Graziella, malata di SLA da undici anni, impedita nei movimenti, attaccata a un respiratore, ma ancora espressiva, coi muscoli facciali che rispondono e le permettono un sorriso contagioso.
Tra questa serie di immagini, iniziali e finali, sentiamo palpitare il dolore a volte insopportabile per la malattia, la fatica di chi -operatore sanitario o familiare- accudisce i malati terminali, come a Montegranaro dove, mentre fuori scorre la vita, nel reparto in cui non c’è più niente da fare “è come se uno si consegnasse definitivamente alle tenebre (…)si viene a morire, ogni giorno, ogni ora, ogni minuto e ogni battito può essere l’ultimo, così quella cosa miracolosa, la storia di ognuno di noi, tutti gli anni e i ricordi, quella storia finisce, trova pace nel suo punto finale, dopo diventa ricordo, diventa memoria oppure si cancella”.
Partendo dalla sua provincia Ferracuti ci accompagna poi a Basilea, facendoci percorrere il viaggio, vedere i luoghi, descrivendo particolari, quasi a farci palpare il contrasto fra la vita quotidiana che scorre su un piano, rispetto a quell’altro diverso, angoscioso, che porta alla scelta definitiva del suicidio assistito. Nel centro di Eternal Spirit lo scrittore incontra Erika Preising, la dottoressa che ha seguìto centinaia di malati terminali; nonostante sia religiosa, seguace dell’Esercito della salvezza, aiuta volentieri le persone sofferenti per un male incurabile a liberarsi dal dolore.
Si prosegue per Zurigo, dove le persone finite in un inferno, “qualcosa che i moralisti non vogliono vedere, i legislatori fanno finta di ignorare per un pugno di voti” come dice Sandra Martino, una lavoratrice della Dignitas, possono trovare la serenità. Lì, Gianni, il pensionato veneto malato di tumore, straziato dai dolori, “ci ha lasciati serenamente, come ha sempre vissuto, ha sorriso fino alla fine. Voglio ringraziare Dignitas che ha permesso a Gianni di non soffrire. E sollecitare il nostro parlamento a fare al più presto una legge sul fine vita, perché non è possibile che in un paese civile una persona non possa scegliere come morire senza soffrire”. Queste le parole della moglie alla stampa, dopo la morte di Gianni.
Assistiamo, quasi sentendoci dei ‘guardoni’ che violano un’intimità, all’incontro di Angelo Ferracuti con Alessandra Sasso a Oggebbio, sulla sponda del Lago Maggiore. Lei e il suo Fabrizio, un omone fiaccato dal male e dalle cure palliative, pensano di andare in Svizzera e, presa la decisione, si sentono sereni… “L’ultima notte siamo stati vicini vicini”, racconta. E Angelo le racconta la sua, di storia. Un’empatia magica sprigiona dalle pagine, coinvolgendoci nelle loro vite. Che poi, inevitabilmente sono anche le nostre vite, perché quasi tutti abbiamo sperimentato quella frattura improvvisa che si crea tra il prima e il dopo, in seguito alla scoperta di un male tragico, che colpisce noi stessi o alcuni dei nostri affetti più cari.
Tante ancora, le vicende umane diverse per cause e per scelta: a Bellinzona il dottor Cavalli parla con Ferracuti di Lucio Magri, che decide di farla finita, non riuscendo a sopportare l’infelicità di sentirsi “un particolare archivio vivente e in soffitta”, pervaso da un senso di impotenza. La morte della moglie Mara lo segna ancor più: “Sappi (si rivolge al suo amico Aldo Garzia) che oggi sono morto anch’io, il mio legame con Mara era molto forte e credo che la mia vita non abbia più senso”. La disperazione totale. Un capitolo, questo, molto lungo e intenso.
Passando per i bevitori di Berlino, ospiti di una casa della Chiesa evangelica, dove è permesso ad alcolisti irrecuperabili di bere senza limiti, e dopo il racconto impotente dei macchinisti dei treni sotto ai quali si sono gettati dei suicidi, c’è l’incontro finale con Graziella, di cui parlavo all’inizio. Questa donna, capace di comunicare con gli occhi che leggono l’alfabeto su una tabella, accudita con amore dai familiari, riesce a trasmettere a Ferracuti, a Marrozzini, ma anche a noi che leggiamo, un senso di speranza, quasi di gioia, ‘vedendo’ il suo sorriso contagioso, mentre ripete che un viaggio sì lo vorrebbe fare…non in Svizzera per il fine vita, ma in America, a New York… “Lei vuole vivere tutta la vita, tutta la vita che resta”.
E’ un libro da leggere. Un libro onesto, commovente, che dà spazio ai vari punti di vista con rispetto e che può suscitare un utile dibattito sull’ultimo viaggio. Un viaggio che per ora si può fare solo all’estero, in certi Paesi, lo stesso viaggio di Lucio Magri e di tutti gli altri, che più della morte temevano la vita “costretti (a questo) dalla ferocia di uno Stato malvagio e da un clericalismo conservatore e ipocrita”.
Chiudo ricordando le parole di Desmond Tutu, arcivescovo anglicano di Città del Capo, convinto assertore della “sacralità” della vita, che -vicino alla morte- disse: “Voglio passare dall’altra parte come pare a me. Che diritto hanno gli altri di scegliere al posto mio? Rifiutare a chi muore il diritto di farlo con dignità è la negazione dei valori cristiani. Prego perché gli uomini di Chiesa abbiano il coraggio, tutti insieme, di sostenere e di condividere le scelte di chi vuole andarsene senza soffrire”. (fonte: Corriere della Sera del 6 novembre, pag. 43)