Luigi Meneghello racconta un piccolo mondo antico senza cedere alla nostalgia
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Meneghello, il contrario della nostalgia

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Meneghello, il contrario della nostalgia

«Non ho niente da raccontare. Solo piccole storie d’infanzia. Ma in un rapporto di studio; il contrario della nostalgia».

Nella rievocazione del passato da parte di Meneghello non è rinvenibile alcuna forma di malinconia o di nostalgico rimpianto. Giulio Nascimbeni, scrittore e giornalista del «Corriere della Sera», nato nel 1923 ed originario della Bassa Veronese, recensendo Pomo pero di Meneghello espose impeccabilmente i rischi insiti nell’edulcorazione arbitraria dei tempi che furono: si rischia […] di passar per sostenitori di una “ruralità” dietro cui si celavano antiche paralisi e antiche ingiustizie. L’idillio è sempre stato un’invenzione o dei poeti o dei padroni. E in nessun altro luogo come nei paesi esso è stato smentito dai pesanti annali della fame, dai grigiori, dalle perfidie e dalle monotonie di una vita ripetuta fino a rinsecchirsi come un guscio vuoto. Le favole dei canti sui sentieri sono venute dopo, nell’ovvio abbellimento che è legato alla distanza, la quale trasforma un gelido inverno di sofferenza in una cartolina illustrata. […] Per avere un’idea di come la mistificazione possa essere perpetrata anche a freddo, basta guardare i “caroselli” della grappa e del vino: i paesi e la campagna sono mostrati attraverso personaggi baffuti, miti come buoi, seduti a rozze tavole che ormai si trovano soltanto dagli antiquari. Se si può tentare un ricupero dei paesi e di quello che furono, non è dunque attraverso i modelli dell’ecologia pubblicitaria o della troppo vistosa ingenuità dei naifs. Né si può cedere alle stolide astuzie della restaurazione, al sogno d’una concordia agreste che era soltanto avvilita rassegnazione, docile ignoranza. La via giusta è quella che imboccò nel 1963 Luigi Meneghello con Libera nos a malo e che ora è ripercorsa con Pomo pero.

Licisco Magagnato affermava di riscontrare in Meneghello «non la nostalgia per il dialetto, ma la volontà di registrare ciò che esso ha rappresentato»: i suoi recuperi di quella che fu a tutti gli effetti la sua lingua materna sono motivati dalla volontà di registrare fino alle radici più inaccessibili quello che il dialetto ha rappresentato, in nome dell’assioma secondo il quale morendo una lingua, muore una cultura: Meneghello si è dedicato alla ricerca del recupero “archeologico” di una società e di una cultura conosciute nell’infanzia e nella giovinezza e poi irrimediabilmente perdute. Non si tratta, però, di una rivisitazione della memoria percorsa dalla nostalgia e dalla retorica, ma di una vera e propria ricostruzione di ambienti, frammenti di vita e di cultura che mira a ridisegnare quella realtà attraverso una specie di ricerca antropologica, segnata sempre dal filo dell’ironia.

Meneghello non era dunque mosso da uno spirito conservatore nostalgico, auspicante un ritorno ad un mondo arcaico di mostri folcloristici e ad un’ingenuità ignorante e fatalisticamente rassegnata. Allo stesso tempo, egli era consapevole del fatto che il mondo agricolo e patriarcale, pur essendo superstizioso e bigotto, era capace di saldi affetti, di una superiore pazienza, di una straordinaria dignità, tanto da affermare, in Il tremaio:

«Mi rendo conto che la gente “sta meglio” oggi, con riferimento specifico al tribolare e al mangiare. Nei decenni di cui parlo io si tribolava di più e si mangiava di meno, su questo non c’è dubbio. Però vorrei dire qualcos’altro su questo punto, per scrupolo di onestà intellettuale. La nozione di “star meglio” presa in assoluto è molto difficile da mettere a fuoco. Se facciamo delle valutazioni basate su cose specifiche, per esempio sul modo di mangiare o di faticare, un confronto è facile, ed è ovvio che nel caso in questione è a vantaggio del mondo attuale. Ma se vogliamo pensare a una scelta basata non sul cibo e sui triboli, o su altre cose concrete, ma sullo star meglio in assoluto, come faremo a giudicare?».[1]

 

Bibliografia

- Maurizio Chierici, Meneghello. Preti, maestre, piccoli fascisti: c’era una volta Malo, «Corriere della Sera», 27 luglio 1993.

- Carlo Della Corte, Meneghello tra Oxford e il dialetto veneto, «Tutto libri», 16 maggio 1987.

- Luigi Meneghello, Jura: ricerche sulla natura delle forme scritte, in Opere scelte, Mondadori, Milano 2006 (1a ed. 1987).

-  Lorenzo Mondo, Un veneto in esilio, «La Stampa», 6 dicembre 1974-

-  Giulio Nascimbeni, Le generazioni delle parole, «Corriere della Sera», 13 maggio 1987.

-  Giulio Nascimbeni, Tra i fantasmi del dialetto, «Corriere della Sera», 5 febbraio 1975.

- Ernestina Pellegrini, Luigi Meneghello, Cadmo, Fiesole 2002.

- Ernestina Pellegrini, Nel paese di Meneghello: un itinerario critico, con un saggio bibliografico di Zygmunt Guido Baranski, Moretti & Vitali, Bergamo 1992.


[1] Meneghello, Il tremaio, in Jura, cit., p. 1093.